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L'ARCHIVIO DELLE RECENSIONI
Gli sdraiati, di Michele Serra
“Eri sdraiato sul divano, dentro un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole…Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica... La televisione era accesa, a volume altissimo, su una serie americana nella quale due fratelli obesi, con un lessico rudimentale, spiegavano come si bonifica una villetta dai ratti. Alle orecchie tenevi le cuffiette, collegate all’iPod occultato in qualche anfratto. Non essendo quadrumane, non eri in grado di utilizzare i piedi per altre connessioni… A un certo punto ti sei accorto della mia presenza. Non ti sei voltato, hai mantenuto occhi e orecchie sui tuoi terminali e hai continuato a digitare…Ma hai sentito il bisogno di dirmi qualcosa…Mi hai detto: è l’evoluzione della specie.”
Avrebbe pure potuto intitolarlo così il suo ultimo libro, Michele Serra: l’evoluzione della specie. Perché tutto il volume è un interrogarsi sulla natura dell’attuale generazione di adolescenti, tanto tecnologici ed iper-connessi quanto misteriosi e sfuggenti per la generazione dei padri e delle madri. Il punto di domanda di Serra, che questa indagine la conduce basandosi su un accurato studio comportamentale del proprio figlio diciassettenne, è semplicemente questo: ai nostri occhi di genitori quarantenni e cinquantenni i ragazzi di oggi sono così perché è normale che siano così, perché da che mondo è mondo gli adulti non capiscono i giovani e viceversa, o siamo davanti, appunto, ad una svolta genetica, ad un’evoluzione della specie?
Domanda davvero interessante e destinata a restare senza risposta. Tra l’altro, la generazione che è diventata maggiorenne nel crepuscolo degli anni settanta (e alla quale chi scrive si onora di appartenere) psicologicamente è rimasta una generazione di figli e non è mai riuscita a progredire in generazione di madri e padri. Restare nell’intimo “figli” e dover recitare giocoforza la parte dei “genitori” comporta sforzi adattativi tanto immani quanto inutili e , soprattutto, un profondo senso di smarrimento quando ci si accorge che il nostro voler essere genitori amicali, compagni e complici più che educatori, si infrange immancabilmente davanti al muro di indifferenza, abulia, apparente catalessi emozionale di gran parte dei giovani in età di liceo.
Per chi come noi il dialogo con i genitori l’ha cercato e non sempre trovato, dovendo confrontarsi con una generazione uscita dalla guerra mondiale e da una faticosissima ricostruzione che bollava come bagatellari i bisogni e i travagli di una progenie ritenuta “fortunata”, è stato scioccante il rapportarsi con figli che il dialogo non lo cercano affatto, che stanno rinchiusi nel cerchio magico dei rapporti telematici con i loro simili e della tv dei talent show e delle cucine da incubo. Un mondo fatto di social network, di wattsapp, di tablet e smartphone che chiede solo di essere lasciato in pace, un Forte Apache che basta e avanza a se stesso e che dispensa dalle visite.
Ma ,mancando il nemico, non c’è più conflitto generazionale e le guerre, si sa, si fanno almeno in due. E’ un qualcosa che ci turba, un mare piatto che navighiamo senza bussole, perché i genitori hanno bisogno del conflitto così come ne hanno bisogno i figli. Le schegge e le scintille degli scontri generazionali non fanno solo “morti e feriti” (in senso metaforico, ovviamente), sono anche i vasi comunicanti che permettono la trasmissione dei saperi, il passaggio del testimone da un’epoca all’altra della storia comune. Anche le contrapposizioni più banali, come il sempiterno duello sui gusti musicali (“ah la musica dei miei tempi, altro che gli starnazzi di adesso”) sono un momento di crescita per entrambi i “duellanti”. Perché magari qualcuno tra i ragazzi, sentendo parlare di un De Andrè, alla fine potrebbe pure andarselo ad ascoltare e a qualcuno dei vecchi, chi sa, potrebbero piacere i Negramaro…
Credo sia questo il cruccio maggiore di Serra, la molla che lo ha spinto a scrivere un libro come Gli sdraiati: la paura di far parte di una categoria di padri che non potrà consegnare ai figli i propri ricordi, semplicemente perché il dono non è stato richiesto e in ogni caso non pare gradito. E allora l’ invito insistente, tra blandizie e minacce, che rivolge al figlio perché lo accompagni in una salutare passeggiata al Colle della Nasca, altro non è che il desiderio di regalargli un’ennesima connessione, questa volta culturale e “di sensi”, con il suo universo valoriale di uomo di mezza età che alle elementari andava a letto dopo carosello, da liceale ascoltava Venditti e De Gregori e da universitario sfilava per le strade gridando (Moretti docet) le sue “cose giuste”.
E’ un Serra superbo quello che si esprime ne Gli sdraiati, libro delizioso che si consiglia a tutti, padri e figli, nella speranza di un futuro con meno connessioni e più comprensioni.
Mi descrivo
Scrittore amatoriale, vincitore di premi letterari rigorosamente amatoriali, opinionista amatoriale... praticamente un fallito :-)
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sposato/a
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