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PREMESSA : il Trump del 2025 mi piace anche meno di quello del 2017 ma rimango dell'idea che i Trump sono figli delle Clinton.

 

Febbraio 2017

Prima di lui il diluvio

Si è insediato da appena due settimane e ha già collezionato un profluvio di articoli denigratori, una raffica di manifestazioni oceaniche di protesta, parecchie prese di posizione indignate del Gotha dell’intellettualità e dello spettacolo, innumerevoli esternazioni preoccupate di politici americani ed europei, enormi timori di tracimazioni caudilliste della più grande – e parecchio imperfetta – democrazia del pianeta. Parliamo ovviamente di Donald Trump, il nuovo baubau della politica internazionale, il salto indietro nel tempo che nessuno vorrebbe fare, l’uomo nero destinato a scalzare lo zar Putin e il sultano Erdogan dal piedistallo di capo di governo più temuto e detestato dell’Occidente.
Ma è davvero così? E’ davvero Trump l’uomo dell’Armageddon, il profeta del medioevo prossimo venturo? Chi scrive di certo non è un fan del nuovo inquilino della Casa Bianca, avendo tifato apertamente, durante la corsa per le ultime presidenziali americane, per il senatore Bernie Sanders, tanto amato dagli elettori democratici a stelle e strisce e altrettanto poco gradito dall’establishment del partito dell’asinello, che gli ha preferito la rassicurante continuità di interessi e di mire rappresentata da Hillary Clinton.
Ma è proprio questa la chiave del mistero, la ragione della sorprendente vittoria di Trump: Hillary Clinton. E’ Hillary e tutto ciò che incarna in termini di bonapartismo al femminile il segreto della “resistibile ascesa di Arturo Trump”, l’ingrediente che ha fatto lievitare oltre ogni ragionevole dubbio il consenso attorno al tycoon cotonato. Chi è causa del suo male pianga se stesso, verrebbe voglia di dire alla Zenobia di Washington. La sua appartenenza al patriziato politico ed economico statunitense e le fitte embricature con gli apparati militari e finanziari dovevano essere la mossa vincente, la garanzia di competenza e affidabilità che le avrebbe spalancato il portone della residenza più prestigiosa d’America. Si sono rivelate la sua iattura.

La catastrofe di questa donna estremamente volitiva e preparata ma anche fin troppo invischiata nelle più intime e spesso lerce commessure del potere yankee è dunque lei stessa. Lei, il suo sprezzante decisionismo, la sua plancia di comando imbottita di generali, lobbysti, banchieri, finanziamenti opachi e congiure di palazzo. Lei, la sua insana passione per cacciabombardieri e cannoniere, la sua olimpica indifferenza (tipica di certo progressismo al caviale) verso i diritti sociali che fa il paio con l’eccessiva attenzione per quelli civili. Oggi è la ricetta vincente della sinistra impotente, non solo in America: non potendo far nulla per migliorare il portafoglio delle classi meno abbienti, che almeno si garantisca loro il diritto a sposarsi, se gay, o a non subire discriminazioni se di diversa etnia. Giusto, giustissimo Hillary. Di più, sacrosanto. Ma due gay poveri prima di pensare a sposarsi pensano a come metter pace tra il pranzo e la cena. E un uomo di colore povero, per quante marce di Selma si potranno organizzare, in una società come quella americana correrà sempre il rischio di subire discriminazioni.
Il “sergente Hartman” Hillary tutto questo forse non riesce neppure immaginarlo. E’ qualcosa che sta fuori dal recinto umano e professionale in cui è cresciuta. Troppo complicato cercare di spiegare ad una come lei, venuta su a pane e globalizzazione, che all’operaio disoccupato di Detroit o all’allevatore del Wisconsin con la fattoria ipotecata importa poco se i contadini cinesi o indiani ora possono finalmente permettersi internet e lo smartphone. Soltanto una politica imbertonita dell'aria fritta come quella che ha calcato, in Europa e in America, il palcoscenico internazionale negli ultimi vent’anni ha potuto credere che l’apertura indiscriminata dei mercati, mito fondante di certa sinistra blairiana e neo kennediana troppo vicina a ciò che dovrebbe essere il suo opposto, non avrebbe lasciato  sul terreno centinaia di migliaia di morti e feriti proprio in quell’occidente opulento che si reputava ormai al sicuro dalle inedie dei secoli passati.

Qua è caduta Hillary, nella sua ignoranza del dolore altrui, in quell’inconsapevolezza, che fa tanto Upper Class della costa orientale, del disagio profondo (economico ma non solo) di moltissime famiglie americane per le quali la crisi non è mai passata oppure è stata sbrigativamente infilata sotto il tappeto dei troppi lavori da quattro soldi che hanno fatto la fortuna dell’era Obama, abbassando le stime della disoccupazione e facendo spellare le mani di tanti opinionisti convinti di aver trovato un nuovo Roosevelt.
Se è vero com’è vero che oggi, nell’Occidente del benessere che fu, la gente vota “contro”, negli U.S.A. il voto non poteva che indirizzarsi, una volta tramontata l’ipotesi Sanders, verso un outsider per eccellenza come Donald Trump, inviso persino a molti settori del suo stesso partito di riferimento. Così come, peraltro, in Francia rischia di convergere sulla Le Pen, in Germania sulla Petry e in Italia su Grillo e Salvini.
Trump non è il rimedio al male, ovviamente, è solo la personificazione della rabbia di milioni di disoccupati e sotto-occupati americani. Le sue ricette semplicistiche (“prima l’America”, i muri col Messico, le sanzioni alle aziende che delocalizzano ecc.) faranno sorridere o storcere il naso all’America dei party esclusivi e dei ristoranti alla moda, democratica o repubblicana che sia, ma danno una risposta rozza e concreta ai bisogni di una enorme massa di persone impoverite dalla crisi, dalla concorrenza cinese, da una immigrazione ispanica fuori controllo.

Vivaddio, votano pure loro. Qualcuno se l’era scordato.

 

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Mi descrivo

Scrittore amatoriale, vincitore di premi letterari rigorosamente amatoriali, opinionista amatoriale... praticamente un fallito :-)

Su di me

Situazione sentimentale

sposato/a

Lingue conosciute

Il rettiliano antico

I miei pregi

Se mi sforzo li trovo

I miei difetti

Mi trovano loro

Amo & Odio

Tre cose che amo

  1. La quiete
  2. Le persone colte e intelligenti
  3. La Storia

Tre cose che odio

  1. La stupidità
  2. La cattiveria
  3. I posti affollati

I miei interessi

Passioni

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Nota dell’autore

Che “La sponda sbagliata” sia un tipo di racconto lungo   che i francesi definirebbero un mero divertissement, senza alcuna pretesa valoriale in termini di stile o di contenuti, l’ipotetico lettore lo capirà fin dalle prime battute del testo. Però da buon siciliano, come tutti i siciliani, sono anch’io figlio inconsapevole di Pirandello e quindi anche in un semplice divertimento come “La sponda” alla fine gli specchi deformati, le illusioni ottiche e mentali, le doppie verità, il gioco delle maschere  inevitabilmente  reclamano la loro presenza. E’ come se la Marta Ajala del grande agrigentino o lo sciasciano prof. Laurana di A ciascuno il suo ci mettessero sempre lo zampino quando ci avventuriamo nei dedali della scrittura creativa.

E’ dunque quasi una inclinazione naturale di chi è parto di una terra come la Sicilia -“la chiave di tutto” di Goethe - rifletterne la complessità, le mille sfaccettature, le mille contraddizioni, le mille qualità e gli altrettanti difetti in uno scritto o in un’opera d’arte, a prescindere dalla levatura del prodotto.

Con la “Sponda” pertanto ho voluto, da un lato, smitizzare un fenomeno vecchio quanto il mondo come il tradimento di coppia, privandolo di quella carica di drammaticità che spesso gli viene attribuita nei film e nei romanzi e, dall’altro, esercitarmi anch’io con le verità proclamate che spesso celano quelle effettuali.

Per la prima “ambizione” mi ha ispirato Bernard Slade e la sua irresistibile e famosa commedia Lo stesso giorno, il prossimo anno; per la seconda…beh chi meglio del Brancati del bell’Antonio, dove la verità apparente è estetica e quella nascosta è erotica.

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