Io: Lo sai che ti amo?
Lei: Mi dispiace per te.
Io: E tu mi ami?
Lei: Sì!
Io: Mi dispiace per te.
... e si ammore nunn'è
Dimmelo tu che rè
Io: Lo sai che ti amo?
Lei: Mi dispiace per te.
Io: E tu mi ami?
Lei: Sì!
Io: Mi dispiace per te.
... e si ammore nunn'è
Dimmelo tu che rè
Il primo pensiero va a chi ieri mi ha scritto, ringrazio tutti per la grande sensibilità e delicatezza, nulla è scontato, non lo è neanche il tempo che dedicate.
Un’amica nel suo commento ha scritto: […] Quello che noto è che tutti ti vorrebbero “diverso” […].
È vero! Credo, però, che tutti, noi, cerchiamo di trovare, in chi ci sta accanto, il giusto equilibrio tra la nostra ideale visione e la reale percezione. In altre parole si cerca di far coesistere l’ideale che abbiamo, a volte preconcetto, di una persona (in questo caso chi amiamo) e qui mi vengono in mente le tante aspirazioni che ci portiamo dietro; Quante volte si pensa: Speriamo sia così? O speriamo abbia le qualità che amo e desidero? E quel che è, realmente una persona, realtà che si palese solo con la frequentazione (sfortunatamente). Questa ricerca d’equilibrio porta a voler cambiare chi ci sta accanto e tutto sommato, credo sia umano questo voler accanto chi abbiamo sempre immaginato, così come l’abbiamo, sempre, immaginato e desiderato.
Il problema nasce quando la distanza tra quel che è e quel che si sperava fosse, è più di quel che avevamo percepito o immaginato.
In me questa distanza è sempre stata elevata. Rifletteteci?
Non sono un abilissimo scrittore, ma dai tanti commento di apprezzamento ricevuti mi è stata attribuita questa capacità. La capacità di saper scrivere ed esprimere i miei pensieri e sentimenti.
Che ci crediate e no, nella realtà non sono capace di esprimermi così. Come un cieco che affina il tatto per compensare l’assenza della vista, la scrittura compensa la totale mancanza di linguaggio. Nella quotidianità, non sono capace di portare avanti un discorso senza inciampare in blocchi, balbettii o confusioni di termini e questo negli anni mi ha creato non pochi problemi.
Ho battezzato il mio blog: Follia e logica.
Ecco!!! Questa associazione di termini ben si adatta alla mia natura:
Potrei definirmi folle, uno squilibrato dal cuore poetico e la mente al limite della logica.
Il buon Proust scriveva: “Siamo tutti costretti, per rendere sopportabile la realtà, a coltivare in noi qualche piccola pazzia.”
Un fondo di verità questo pensiero ce l’ha e se ci guardiamo attorno non possiamo non pensare che questo mondo un pò pazzo lo è.
Mi vengono in mente le parole di Eduardo De Filippo sui fantasmi:
“I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi, ridotti così dalla società che ci vuole ambigui, ci vuole lacerati, insieme bugiardi e sinceri, generosi e vili.”
Siamo dei fantasmi in un mondo pazzo.
Troppo cupa, troppo lugubre questa mia ultima frase?
In un cuore non c’è bellezza che non nasconda un lato orrendo, non c’è mai felicita, senza tristezza, generosità, senza egoismo, amore, senza odio.
Questo siamo!
Questo sono!
Cerco l’amore con gli occhi avvolti da rovi,
e vivo la vita scrivendola con il mio sangue,
con una sola parola incisa nell’anima:
"Speranza".
Ed una pronta ad abbondonar le labbra:
"Amore".
L’ho citato e lo condivido:
In questo spazio ho sempre raccontato le mie impressioni il mio vissuto a volte con delicatezza, altre senza badare tanto alla forma e alla sensibilità di chi legge.
Come ho scritto ieri, manca ancora una festa per la conclusione del Natale, così come lo intendo io e lo sempre vissuto fin da piccolo, ossia riunioni di famiglia, pranzi e cene. Per me e la mia compagna che è già a lavoro, le feste sono concluse, la quotidianità è già arrivata. Ci sarà, forse, una piccola serata che passeremo da soli il 6, una serata non diversa dalle tante altre che viviamo durante l’anno, chissà, magari, la passeremo fuori città, nulla è ancora scritto.
Devo esser sincero, se penso ai giorni appena passati, alle sensazioni che ho vissuto e provato, la sensazione di solitudine è stata prevalente e incessante.
È stata la prima voce che ho scritto, la voce che più di tutti si è ripetuta, la voce che è sempre presente, chiara e limpida. È riuscita persino a sovrastare la vecchia e cupa voce della colpa, quella che mi tormenta fin da che ho memoria.
Ma tranquilli c’è sempre qualcuno pronto a ricordarmi che esiste, anzi, esistono.
Le colpe!!! Vere o immaginarie.
E sì! Come per la grande opera di Molière, esistono anche le colpe immaginarie, quelle che mi creo (ci creiamo) per punirmi delle scelte che non sono state condivise o accettare da chi amo (e amiamo).
Ho accanto a me colpe così vecchie che quasi non ricordo più perché esistono, so solo che ci sono.
Anche questo Natale mi sono state ricordate le mie colpe:
“Non ci sei stato e non ci sei.”
“Non la vivi.”
“Potresti ogni tanto chiamarla. (Anche se, quasi, ogni settimana sono da lei, nelle stagioni belle, ogni settimana. Perché ricordarlo?)”
Si parla di mia Madre, che da un anno a questa parte, da quando mio padre non c’è più, sembra aver perso la felicità, sembra esser diventata assillante, con mia sorella e i miei nipoti (ma è il primo anno, potrebbe esser normale). Ovviamente nelle feste sente più la mancanza, la nostalgia e anche questo credo sia normale.
Purtroppo (o per fortuna dipende dai punti di vista) loro vivono adiacenti a lei, stesso palazzo. Io, invece, vivo in un'altra città (paesino più che città) ed è quasi diventata una colpa. Perché, a detto di chi le sta accanto, io le sto poco vicino e non le parlo.
Dire a me non le parli (non parlo) è la verità. Io non parlo, sono di poche parole, sempre stato di poche parole, sempre stato riservato, all’apparenza, quasi, anaffettivo (con i miei parenti).
Quant’è facile, descrivere i miei traumi, quando a tavola tutti riuniti elencano i motivi della mia riservatezza, della mia timidezza. Come la scuola infantile (se si può chiamare così) che mi ha legato perché mancino (i mancini sono figli del diavolo) costringendomi a diventare destro a forza o la scuola elementare che mi ha isolato dagli altri bambini per il mio modo di parlare o meglio non parlare l'italiano (Nessuno se n'è accorto, che vuoi io non parlavo, come facevano i grandi a capirlo :-)). E mai, mai, mai da nessuno, un semplice: Come ti senti? Come stai? Anche ora.
E ci torno, sempre, con il pensiero e le parole (qualcuno potrebbe dire, che sono questioni irrisolte :-))
Oggi che non c’è più, si parla anche degli errori di mio padre, ma sempre con le dovute cautele, non sia mai la verità ferisca mia madre.
La tuteliamo e la tutelo, anche dai suoi ricordi.
Io rimango il timido, sono sempre stato il timido, comunque e sempre. Quello del: Tranquilli! Lui è così, è buono e non si muove. :-) è il suo carattere. La frase più bella: Gli scivola tutto :-) Con il tempo, alla fine, ci credi anche tu, che sei così (frase fatta, banale quasi, ma un fondo di verità ce l'ha). Se un'idea viene ripetuta e ripetuta e ripetuta, può diventare una verità, diventa una verità.
Mi sono sentito per lungo tempo solo e ancora, oggi, mi sento solo. Mi sono sentito solo anche il 25, il 26 e l’1, solo in mezzo alle persone che conoscevo e amavo e amo ancora, tra botti e brindisi.
Non credo riuscirò mai ad eliminare questa sensazione.
Perché credo sia una scelta, fatta tanto, tanto, tempo fa, per salvarmi dalla parte brutta di questo mondo.
Una parte di me resterà sempre isolata, anche in mezzo alla gente e in verità tutto questo non mi rende triste, non più.
La sensibilità di chi legge (chi mi legge abitualmente ne ha tanta di sensibilità) potrebbe dispiacersi per quel che ho, appena, scritto, non dispiacetevi, non c’è motivo :-D
Buona giornata.
Ecco, il primo pensiero del 2023 o meglio, il primo donato a questo spazio.
La prima riflessione è stata se seguire la falsariga degli ultimi post e continuare a declinare un ottimismo da 25 Dicembre o tagliare il velo che cela la realtà (la cruda realtà) e scrivere quel che nasconde veramente il mio cuore.
Le feste, a dire il vero, ancora, non sono finite, manca la vecchia signora per porre fine alle vacanze natalizie e tornare alla quotidianità di tutti i giorni. Quotidianità che si spera sia migliore di quella, cronologicamente parlando, appena conclusa.
In Argentina, allo scoccare della mezzanotte, per tradizione, tutti fanno un passo avanti con la gamba destra per iniziare l’anno nuovo con il piede giusto.
Questo, oggi, credo sia il pensiero più ricorrente, visto gli eventi degli ultimi anni.
Una cosa è certa? Nei nostri cuori (nessuno escluso) è viva la speranza. Gli auguri donati e ricevuti, auguri di felicità, di ricchezza, d’amore, sono un esempio di questa presenza, che non vuole e non deve morire. Persino nelle anime più burbere e disilluse e qui un’anima all’apparenza burbera l’ho incontrata :-) hanno dispensato auguri e buoni propositi per il nuovo anno.
Speranze che si scontrano con una realtà che certo ha motivo d’esser Faustiniana per molti.
Sapete che vi dico?
Oggi, voglio rompere un pò le scatole a chi ancora sorride. :-)
Nel suo compendio Schopenhauer scriveva così:
Difficilmente il 2023 sarà l’anno che ci aspettiamo, il numero che desideriamo esca da quei dati immaginari. Toccherà a noi correggere (come sempre) il lancio.
Spesso agli inizii di un’avventura, di un cambiamento e il nuovo anno è un cambiamento abbastanza rilevante, si ricorda chi sta peggio, si dona una preghiera, un pensiero.
Il mio pensiero non voglio donarlo agli ucraini, né al papa morto, né al numero 10 morto, né ai cattolici, né ai migranti che testardamente tentano di raggiungere le nostre rive, né agli italiani che presto si troveranno senza nulla in mano, lo dono alle ragazze iraniane, le uniche ad aver il diritto, oggi, di combattere.
Come primo pensiero del 2023 può andare. Né troppo cupo, né troppo lieto, né troppo sintetico, né troppo prolisso. Nè troppo, né niente.
Buona giornata.
Che il sole ti porti
nuova energia ogni giorno,
che possa la luna
ristorarti dolcemente la notte,
possa la pioggia
lavare le tue preoccupazioni,
e la brezza portare
una ventata di aria fresca
nel tuo essere,
e che tu possa
camminare dolcemente
attraverso il mondo
e conoscere la sua bellezza
tutti i giorni!
Manca una notte, alla notte che chiude il passato e apre al futuro.
La notte.
La poesia è sempre un’ottima lampada per illuminare gli spazi nascosti del nostro cuore.
Questa in particolare mi lascia sempre un pò di tristezza, ma non me ne dolgo. Ho accolto da tempo l’idea che si può esser tristi con gioia :-)
Perché questa (malinconica) poesia alle porte del giorno che è gioia e inizio?
Forse per non dimenticare come si è arrivati fin qui. Forse per ricordare gli amici, per ricordare chi non c'è più.
Vorrei non dimenticare chi sono stato, non dimenticare gli errori, le frasi che non avrei dovuto dire, non dimenticare le sensazioni, le emozioni, non dimenticare i tanti riflessi che vedo allo specchio.
Riflessi che cambiano stagione dopo stagione e più vado avanti più la memoria ne lascia cadere qualcuno, ne lascia alle spalle qualcuno. Riflessi che non ricordo più.
Diniego!!!
Ho sempre apprezzato la lingua italiana, la sua forma, la sua musica.
Nella parola si manifesta l’unica e vera seduzione.
Il più grande atto di seduzione vive nello scambio di un suono, un’esclamazione che sposa un’altra esclamazione:
Io: T’amo!!!
Lei: T’amo!!!
Se penso alla mia storia d’amore, mi vengono in mente un’infinità di episodi, tantissimi meravigliosi, qualcuno un pò meno meraviglioso. Se vado a ritroso con i pensieri mi viene in mente una frase che la mia compagna mi disse agli inizi della nostra storia (una delle tante).
Io non ero quel che lei aveva, sempre, cercato in un uomo. Gli uomini che aveva tentato di frequentare, avevano un carattere e uno stile di vita, totalmente, diverso dal mio.
Alla fine, però, si è legata a me. Perché?
Lei si è risposta così:
“Dio non mi ha mandato quello che volevo, ma quello di cui avevo bisogno.”
Una frase piena di sensibilità di certo, ma piena anche di aspettative, forse, disilluse, ma non perse.
La donna!!! Meravigliosa e stupenda creatura, capace più di chiunque altro di vedere e andare oltre.
Come molte donne ha riconosciuto la perseveranza, un altro modo di chiamare l’amore (mi congedo questa licenza poetica, nonostante il detto :-)). Perseverare e nel perseverare mostrare (a lei) che nulla era più importante di LEI. Restare, anche, quando mi aveva voltato le spalle e deciso che non andavo bene per la sua vita. Restare con la dolcezza, con le carezze, cercando di mostrarle la scelta, persino quella di lasciarci per il bene di entrambi. Momenti (pochi per fortuna) che si concludevano con quel abbraccio che sapeva, che diceva, addio. E poi!? Il miracolo. Tutto: Parole, riflessioni, decisioni si disolvevano come neve al sole, tutto si resettava e più nessuno sentiva nel cuore di voler andar via.
Chissà, forse, si è innamorata perché ho lottato per lei. Perché non ho retrocesso nonostante le sue intemperanze e incertezze. Perché, forse, ha visto oltre quel che non andava.
Per una donna probabilmente, è più rischiosa, la scelta del compagno (tanto da perdere e da sacrificare, ancora oggi).
L’uomo è più facilone, più superficiale, spesso, molto spesso un bastardo.
Attenzione presenza (forse) di parole e frasi che possono o potrebbero urtare la sensibile e il buon gusto comune.
Ho visto o meglio sentito quel che può uscire dalla bocca dei miei simili, quando vedono una bella donna:
“Che culo”, “che tette”, “me la scoperei”.
Queste sono alcune (le meno volgari) frasi che esprimono quel che passa nella mente di un uomo, la prima volta che incontra una donna e mi sono limitato rispetto a quel che avevo intenzione di scrivere.
Anche le donne so hanno pensieri simili.
Il desiderare di far l’amore non è un peccato, anzi (molte donne dopo il matrimonio lamentano la poca attenzione verso quest’aspetto).
Non sono un moralista (credo di non esserlo) e non voglio bacchettare nessuno (per adesso), racconto solo quel che sento ed ho vissuto.
Quando incontrai la prima volta la mia compagna non la notai certo per quel che pensava, non la conoscevo, non conoscevo il suo carattere, la sua anima, neanche la sua voce, la notai per i suoi occhi e sì, anche, perché mi piaceva com’era (fisicamente) e nei giorni successivi, nacque e aumento il desiderio di far l’amore con lei, il desiderio di abbracciarla, di baciarla, di avvolgere le sue forme. Lo scopo non era, però, portarmela a letto, ma portarmela a casa per sempre.
La libertà di esprimersi e mostrarsi come si vuole è legittima: Tette, culi, fiche, cazzi. Persino la libertà d’usare un linguaggio pseudo seduttivo da rivista porno è, legittima. Ma nel contesto giusto, però. Molti utenti (soprattutto donne) dovrebbero riflettere, molto seriamente, sulle immagini che pubblicano, sulle immagini che vogliono le rappresenti. Troppi uomini ci sono in giro con in testa il pensiero, che la donna sia solo una fica da scopare.
Ci sono tante teste di cazzo in giro, immagino che per compensazione, ci siano in giro, anche, tante fiche con occhi, bocca e naso. Da uomo, però, mi sento di scrivere: Riflettete! Riflettete su questa anatomizzazione della Donna e su chi deve educare a che le bambine diventino donne da amare e non femmine da scopare e perché no, al che i bambini diventino teste pensanti e non teste di cazzo.
Il pensiero è molto più articolato di quanto posso descrivere e rischio di deviare troppo dal mio pensiero originale. Sono partito dall’amore, come sempre, per giungere alla seduzione.
C’è stata una dogmatizzazione del termine seduzione, si è riversato in esso la malefica perversione del male (per restare in tema religioso). Il corpo è diventato un precetto per sfogare un amplesso, un semplice atto fisico il cui unico scopo è provare: 3, 4, al massimo 5 secondi di piacere fisico.
La natura ha saputo nella sua bestialità far meglio, seppur lo scopo è, sempre, quello (quei 3, 4 secondi) ha reso danza e canto, simboli di seduzione, ne sono un esempio straordinario: gru e cavallucci marini.
Sapete come definirei (io) la seduzione? Come la capacità di guardare negli occhi il vostro o la vostra compagna e riuscire a vederci un futuro (ne basterebbe uno). Un futuro fatto di attese, di rincorse, d'incontri, di sorrisi e pianti, un futuro fatto di fatica e nonostante questa lottare per quella fatica.
Cosa si vuole e cosa si ha bisogno?
Io non so ancora cosa voglio (un giorno, forse, lo scoprirò), ma, oggi, di certo so, di cosa ho bisogno.
D’amare.
Un giorno mi sono trovato a picchiare un muro.
La (mia) mano sanguinante mi mordeva il cuore di dolore.
Lì, senti, per la prima volta,
il mio cuore piangere.
L’odio mi fissava e sorrideva.
“Perché ridi?” gli domandai.
“Perché sta per arrivare!” Esclama l’odio.
“Chi sta per arrivare?” Domandai perplesso.
“Mia sorella”, rispose l’odio.
“Tua sorella!” Esclamai.
“Sì! Colei che da sempre è un passo avanti a me.
Tu credi che io ti visiti per ferirti? No!
Io sto sempre un passo indietro a mia sorella.
Solo quando l’abbandoni io faccio un passo avanti
e solo quando il tuo cuore piange, lei torna a guidarmi.”
“Chi è tua sorella?” Domandai curioso.
L’odio rispose: “L’amore”.
Il vecchio Platone diceva: “La musica è per l'anima quello che la ginnastica è per il corpo.”
Condivido questo pensiero in ogni sua parola.
Ieri ci siamo (io e la mia compagna) regalati una gita fuori porta. Due ore di macchina per raggiungere un piccolo e sperduto borgo, dove da decenni si svolge un suggestivo presepe vivente. Nella piccola piazza principale il paesino ha organizzato come abitudine alcuni stand. In un angolo della piccola piazza, un minuscolo concerto; Un contrabbasso e un violino: Suonavano.
Al di là delle melodie, della bravura del duo (niente male), la musica riesce a scrivere senza inchiostro e penna pagine di emozioni, che solo la poesia riesce a restituire con tal commozione.
Neanche la pittura e la scultura riescono. Loro hanno bisogno di un processo di ricerca nelle memorie dell’anima per evocare l’emozione, la musica ha, invece, questo straordinario pregio: esser diretta.
Pochi sono i giorni in cui non ascolto musica, su 365 giorni, 360 li passo ascoltandola.
Credo sia una compensazione. Il silenzio è altrettanto importante e parlando relativamente poco durante il giorno, quel paio di ore giornaliere passate a d’ascoltare musica, sono fondamentali per dare eco e forma al silenzio.
Nei momenti più cupi, dove le lacrime sono raccolte in un lago di emozioni o nei momenti d’energica intensità, dove ogni pensiero sembra esser in contatto con le più alte divinità della volta celeste, la musica è lì, a modellare l’emozione. Può ancor più sprofondarmi nella disperazione o sollevarmi trasformando il nero colore che avvolge l’anima, in un prisma di luce e colori.
Non potrei immaginare un mondo senza musica (neanche senza pittura o scultura). Per citare i cattolici e il loro inferno, lì la musica non c’è di certo.
Condivido un piccolo stralcio del duo. L’era dei telefonini, oggi, permette di trasformare in ricordo tutto. Questo per me è e sarà un bel ricordo:
Un giorno mi sono seduto in riva al mare.
Alla mia destra sedeva la solitudine.
Le ho chiesto: "Perché sei sempre accanto a me?"
Lei mi ha risposto: "Per ricordarti che non sei solo."