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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Lezioni del passato che vivono nel quotidiano sentire.

 

Quante lezioni passano inosservate, inascoltate?
 

Le voci che rimangono come eco nella nostra anima sono sempre quelle più dure, più acuminate.
Mi c’è voluto tanto tempo per distinguere le voci buone da quelle cattive.

 

Nello spirito risiede la nostra essenza, in esso nasce la lezione più importante: L’autocritica.

 

L’errore nell’arte non è un marchio disonorevole che va cancellato. È ciò che rende unica l’opera d’arte, l’imperfezione che restituisce la perfezione.

 

L’errore nella vita diventa una colpa e le scelte costruite su questa colpa sono perfezioni (cieche) che restituiscono imperfezioni (insanabili).

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Trattenersi dallo scrivere quel che si sente non è facile, si rischia di far affievolire la luce che illumina il foglio e l’inchiostro e se si smarrisce quella scrivania immaginaria, ritrovare l’ispirazione non è facile.
Avevo promesso di arrivare al Natale senza scrivere pensieri malinconici, cercando invece di richiamare l’infanzia e l’adolescenza. La mia natura è, purtroppo, quella e cerca, sempre, di apporre la sua impronta critica a quel che scrivo, nonostante opponga sempre una strenua difesa e alterni malinconie a entusiasmi.

 

È Natale. Su questo non c’è dubbio, l’alberello, il presepe e le luci sono la prova tangibile della sua presenza attorno a noi.

 

Anche la Tv ha cambiato il suo palinsesto ed ha iniziato la programmazione natalizia. Tante visioni all’insegna di Babbo Natale, delle feste e del Capodanno.

 

I demoni (le mie paure e insicurezze), però, non partecipano alla festa, loro non si metton il buffo cappello rosso, con la morbida e lanosa pallina bianca, loro sono lì, pronti ad approfittarsi delle mie debolezze e dei miei passi falsi.

 

La disillusione è l’ancora che mi tiene, spesso, fermo, che ci tiene fermi, nonostante i miei piedi, i nostri piedi camminano. Ci sono tanti indici puntati con sventolante la bandiera dell’ipocrisia. Se ognuno di noi prendesse coscienza che il mostro è, acconto a noi, invece di vederlo sempre e solo negli altri, forse, la comprensione sarebbe più sincera, più vera.

 

Credo ci sia diffidenza verso chi parla e scrivi di buoni sentimenti, chi parla e scrive d’amore.
Banalmente mi viene in mente un detto coniano da quel mondo contadino, così genuino e agreste da esser rudimentale nei sentimenti e nelle ragioni:
Non fare di tutta l’erba un fascio”. Ossia non generalizzare.
Qual è questa disillusione?
Quale illusione smentita, può lasciare un velo di cinismo?
Che un buono non è, buono. Questa è l’illusione, quell’ipocrisia dei sentimenti che rende insopportabile la percezione della bontà, del buono. In questo periodo questa ipocrisia e ancora più accentuata.

 

Un brutto esempio, però, non può e non deve vincolarci. L’ipocrisia di chi si veste d’oro e si orna il capo di “pace” e “amore”, dispensando buoni sentimenti a giorni alterni, riempiendosi la bocca di bontà in questi giorni, per poi svuotarla nell’ombra degli altri, pronto a mordere chi per un motivo o l’altro abbassa le difese. Questa ipocrisia, non deve trasformare, il mondo solidale, il modo poetico di chi vede in un bambinello la pace, in un’illusione. Così come chi punta il dito e da un’altare di moralità da’ del bigotto. Non può esser sempre visto, come un cinico egoista. Dietro c’è sempre molto di più.

 

Esiste un racconto natalizio che esprime in modo significativo, in modo esemplificativo tutto quello che ho scritto fino a d’ora.
Un racconto critico e crudo della società, racchiuso da una commovente e straordinaria storia d’amore. Amore per la vita e il prossimo.

Una storia che mostra senza fronzoli e merletti, come dietro un’arido, cinico, bigotto e avaro figlio di puttana a volte c’è solo un uomo sommerso dal dolore e dai sensi di colpa.

 

Rivivere questo canto di Natale attraverso la settima arte, credo valga più di qualunque altro pensiero possa aggiungere.

 

 

BUON NATALE

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Un pensiero dell’ultima ora, un pensiero serale che mi andava di scrivere.
Oggi ho visto una scena. Una scena che probabilmente non vedrò mai più, una scena che prima di oggi, non mi era mai capitato di vedere. Di leggere sì, di sentirla descrivere sì, di vedere in tv
sì.

Ho visto un uomo anziano baciare la mano di una donna (anche lei in là con gli anni, immagino la sua dolce metà). Un baciamano agli inizii del nuovo millennio. Poi ho letto il quotidiano e la realtà di questo millennio si è fatta viva e cruda.


Amare è,
dire No e ricevere un bacio.

Amare è,
piangere per un NO è ricevere un bacio.

Amare è,
poter dire NO.

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Spesso mi capita di ascoltare chi non riesce a vedere bontà attorno a noi, chi mi guarda con un senso di superiorità e cinismo per l’ottimismo (senza conoscere poi quel che vivo dentro e non mostro) che esprimo attraverso le parole.

 

Apro parentesi: {Cinismo beffardo proveniente da chi si lamenta di non potersi comprare quel che vuole o non poter comprare ai figli quel che chiedono - ecco, quindi chi è il cinico di oggi: Un consumatore insoddisfatto. } chiusa parentesi, una critica, più un'osservazione, totalmente, personale.

 

Non sono mai stato un buon cattolico, anzi, per niente, sono un pessimo cattolico, forse neanche lo sono. Sono, però, un credente, credo in qualcosa che è già tanto. Nonostante abbia letto molto, il legame con la cristianità è inscindibile dalla terra che calpestiamo. La fede è intrisa nella pietra, nel legno, nel metallo, nelle ombre, nei colori, nel cielo. Cresciamo respirando la fede e la respiriamo attraverso la storia (soprattutto individuale), al di là della scelta che le colpe personali, poi, ci spingono a fare.

 

Quel bambino scaldato dal respiro del simpatico asinello e del mansueto bue a me sta’ simpatico, molto simpatico, capita. :-)
E mi stanno simpatiche anche le preghiere. Tra tante parole gridate al limite dell’offesa e della violenza, un dettato dal sapore poetico e dal sentire amorevole a me da’ un senso di pace. Capita anche questo, d’aspirare alla pace. Che brutta parola eh!!! :-)))))))

 

Questa notte nel mio lettino,


pregherò Te, Gesù Bambino.
 

Dona, Ti prego, il tuo perdono


a tutti quelli che buoni non sono.
 

Alla mia mamma e al mio papà


dona, Ti prego, felicità.
 

A tutti quelli cui voglio bene,


fa’ che leggere siano le pene.
 

Fa’ che gli uomini d’ogni colore


trovino sempre soltanto amore.

 

Una preghierina con la rima, creata per esser donata all’anima più candita, quella dei vostri bambini. La preghiera non è un simbolo della maturità è, un dono al bambino che è in noi, l’unica creatura capace d’amore senza preferenze.

 

Il mio bambinello con Mamma - Quanto mi sta simpatico questo bambinello :-)

 

BUON ARRIVO AL NATALE da ME e perchè no, pure, dal BAMBINELLO.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Come ho scritto nel precedente post: Preferisco celebrare questa settimana (natalizia), ricordando l’infanzia e l’adolescenza, per quanto posso riuscire. :-)
Per questo breve periodo, per questi giorni di arrivo al Natale, vorrei provare, sempre, raccontato emozioni e ricordi a riportare alla mente il bambino che non c’è più.

 

E stamane un’idea mi è balenata nelle mente. Esiste un legame tra un personaggio o meglio una figura importante del Natale e l’adolescenza. L’adolescenza di chi ha qualche capello bianco in testa.
Nel presepe, tante, sono le figure importanti, ma ce n'è sono due non sempre ricordate con le dovute gratitudini, sfruttate oserei dire per il bene della scena:

 

Il Bue e L’Asinello.

 

Ed è l’Asinello che voglio ricordare, o meglio il figlio di un asinello e di una cavallina. Un amico che ha accompagnato la mia infanzia. Chi ha un pò di anni negli occhi, forse, lo ricorderà: Francis il mulo parlante.

 

 

Posso scriverlo con coquizione di causa, ho sempre avuto un bel rapporto con gli amici asinelli.

 

Io e il mio amico asinello

 

Uno spunto, un'occasione per ricordare i simboli della nostra vita. Oggi è facile trasformare in bandiere colori e forme senza significato, sfruttare come un asinello indifeso, simboli di pace e amore per giustificare egoismi e violenze.
Esiste un detto che dice: Siamo quel che mangiamo.
Posso declinare questo detto e farlo diventare: Siamo quel che difendiamo.
Che cos’è, chi difende la guerra?

 

Scusate, come mi ha affettuosamente scritto un'amica, non posso non brontolare. :-)

 

BUON ARRIVO AL NATALE da ME e dal MIO amico ASINELLO.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

Una nota a margine mai scritta.

Un verso mai recitato, una frase mai detta.

Una dedica mai partita.

 

A quell’amore mai nato.

Al figlio mai conosciuto.


 

 

 

 

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri, ma non solo, mi sono lasciato trasportare ed ho scritto parecchio, forse, troppo.

Vorrei oggi esser più sintetico (vorrei e dovrei esserlo sempre) ed evitare, ed evitarvi pensieri contorti, ma soprattutto malinconie e tristezze. La semplicità non per forza è sinonimo di superficialità. Concentrare pensieri e intenzioni in un unico flusso, ottimizza il tempo e come ho scritto in passato, il tempo ha un valore. Ma quando si racconta ci si perde tra le parole.

 

Da piccolo (tra i 4 e 5 anni più o meno) vivevo con i miei genitori in un piccolo appartamento, era al primo piano di una vecchia palazzina, in un quartiere popolare dell’allora mia città.
Si accedeva da un portone piccolissimo e da una rampa di scale dritta, ricordo ancora la sensazione di salita. Dopo la scuola scendevo e mi sedevo ai primi gradini con il portone aperto e disegnavo sul muro, così ho iniziato a scoprire il mio talento. Questi sono tra i pochi momenti sereni che ricordo d’aver vissuto, anche se dopo mi costavano una sonora sgridata. :-)

 

Ora, non posso riportarvi il muro con quel che disegnavo, posso condividere, però, alcuni ricordi sotto forma d'immagini. Di quel periodo ho conservato, infatti, parecchi disegni su carta, non so se vi fare piacere, ma potrebbero far riaffiora anche a voi ricordi infantili. Perché disegnavo ciò che vedevo e all’epoca cosa un bambino vedeva o leggeva dopo scuola?

 

Il mio Topolino

 

e poi:

 

Il mio Paperino

 

Per le fanciulle:

 

La mia Pollon

 

La settimana di Natale è iniziata, pochi giorni ancora.
Mi sembrava scontato inserire le solite immagine natalizie. Preferisco celebrare questa settimana, ricordando l’infanzia e l’adolescenza, il periodo che più è vicino all'essenza di quel che rappresenta il Natale.

 

Buon inizio di settimana e buon arrivo al Natale.

C.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri si è usciti, io e la mia compagna. Immagino sia comune ad ogni coppia giovane o vecchia (con le dovute distinzioni di tempi e sintassi) chiacchierare.

Mi chiedo e domando; Come scegliete di cosa parlare?

Ancor più importante, mi chiedo e domando; Come capite cosa dire e cosa NON dire?

Ora!!! Non so se vi è mai capitato? Immagino di sì.
D’iniziare - voglio usare una metafora - Dì avere sopra la testa un cielo sereno, come fosse una giornata di primavera e trovarsi, senza neanche aver la consapevolezza di come si è arrivati, sotto un cielo in tempesta, un cielo cupo e grigio. In parole povere di iniziare con una chiacchierata pacifica e amorevole e trovarsi all’improvviso - trovarmi all’improvviso (racconto sempre per esperienza) a dire frasi che non avrei mai pensato di dire o ripetere.

Accanto all’amore, qui, in questo particolare caso, l’amore di coppia, vive un’altra emozione.
Un’emozione vitale per l’essere umano, ma purtroppo soggetta alla volubilità dei sensi.
Un’emozione subdola e imprevedibile: La paura.

La paura in coppia con l’amore, da’ origine a frasi capaci di causare ferita ancor più (a mio parere) profonde di qualunque odio o rabbia, tra innamorati (parlo sempre di coppie che si amano, chi più chi meno, ovviamente). Ciò che si dice in preda all’odio è sempre un impeto irrazionale, “dire senza pensare” non è falsa com'espressione verbale. Ben altra cosa e bel altro effetto sono le frasi dette, invece, pensando, spinte quasi a forza da questa coppia di emozioni (paura e amore).

Ieri mi è uscita dalla bocca una frase, una domanda, che so non deve e non doveva uscire, perché la risposta fa male, potrebbe far molto male.
”Se non fossi più nella tua vita, vivresti meglio?” Una domanda che non avrei dovuto porre.
La risposta è stata: “Non lo so.”
Che è peggiore del Sì. Nel cuore ti lascia il tormento del dubbio.
C’è, ovviamente, dietro questa domanda e di conseguenza dietro questa risposta, un racconto di parole. Un'evoluzione che a portato la chiacchierata amorevole a trasformarsi in un confronto personale. Non vi sto a raccontare cosa è stato detto, parola per parola, non credo sia importante, né credo vi interessi. È importante il motivo di fondo, che nella mia ignoranza e poca esperienza nelle relazioni, considero l’elemento conflittuale.
Ossia: Le differenze.

Ho sempre letto e ascoltato che una coppia funziona se sono caratterialmente differenti. C’è un detto popolare, che rende benissimo il senso di questa frase: “Gli opposti si attraggano”. È vero?
Ho sempre ritenuto abbastanza vera questa affermazione, ma è anche vero che differenze profonde, possono far soffiare all’improvviso venti di tempesta, in un calmo oceano d’amore.

Come ho scritto parecchie volte, e nel farlo non voglio e non ho valuto mai fare la vittima (ho solo e sempre raccontato ciò che ho vissuto), ho avuto un’infanzia priva di felicità, questo ha creato un effetto indesiderato, che può esser un bene per alcuni, un male per altri, per la mia compagna è più un ostacolo: Mi basta poco, pochissimo, per esser felice, mi accontento. Chi ha avuto un’infanzia felice, tende, invece, a non accontentarsi e desiderare una vita migliore. Una vita fatta di tante amicizie, completa negli affetti, come lo è una famiglia felice, una vita che sia priva di rinuncia e privazioni (appunto). Tutte, tutte aspirazioni giuste, sacrosante e desiderarle senza poterle ottenere, da’ un profondo e acuto dolore all’anima di chi si vede fallire. E la conseguenza è poi, che l’infelicità la si vive da adulti.
Ora!!! Se capita che questi due pensieri si innamorano, questa differenza diventa allungo andare una spina. È vero!!! Si dice che non c’è amore senza spine.
Se dopo anni, tantissimi anni stiamo ancora insieme (io e la mia compagna) e resistiamo anche a queste frasi, che sono onde che s’infrangono con violento vigore sulla riva, un motivo c’è e non lo metto in dubbio.
Vivo l’amore, ma vivo anche la paura. C’è sempre, è inevitabile, senza saremo incoscienti e imprudenti.

Come, quindi, evitare di dire, quel che non dovrei dire?
Perché da solo, anche ora, me lo prometto, se ricapita non uscire il discorso.
Ma puntualmente rispunta. E non sto parlando di litigi, ma di confronti tra due persone che si amano.
Nessuna frase del tipo: Non ti sopporto più o frasi peggiori che possono accompagnare offese e ingiurie.
In questi casi, se posso aggiungere un mio personale parere. L’amore è malato.
Perché sì!!! Anche l’amore si ammala. Anche l'emozioni sono vive (come l’ospite che le genera), nascono, vivono e muoio e nel vivere possono ammalarsi. Come una cellula che diventa un cancro, anche l’amore può avere nascosto un cancro e spesso porta morte.  

In verità penso, che non si possono evitare i confronti e non possono esser evitate certe frasi.
La domanda corretta da farsi, forse, è: Come resistere alla paura che tutto un giorno vada in frantumi o peggio che l’amore diventi un cancro?

Perché poi ci si spegne lentamente e non te ne accorgi, che piano, piano, stai morendo dentro.

Ed è questa la sensazione che sento, vive, la mia compagna. Nei momenti di lite esce qualcosa, non si pensa come ho scritto e la libertà del cuore, fa uscire tutto in un modo o un altro.
Ed io non so come poterla aiutare, perché in parte è anche il mio modo di essere la causa di questa lenta morte, questo spegnere piano, piano, ogni desiderio.
I desideri sono candele nel buio, piccole luci che danno speranza e scopo alla vita. Il fallimento, porta inesorabilmente a spegnare una candela, poi un’altra e un’altra ancora.
Un figlio non arrivato e una candela si spegne, la casa con giardino non comprata e una candela si spegne, un lavoro non dignitoso che non ci evita le privazioni e una candela si spegne, una passione che si ferma e una candela si spegne. Piano, piano il buio inizia a circondarci.
Lentamente si muore dentro.
Ma c’è una via d’uscita, per me esiste sempre. Perché per quante candele spegni, alcune non possono essere spenta, una non può esser spenta ed è la candela della vita, l’altra è la candela dell’amore, ma solo ad una condizione se la unisci alla candela della vita: vita e amore. Che frase può uscire unendo queste due luci?
Amare se stessi.
Dopo diventa facile aggiungere un’altra candela, magari una candela esterna, un'altra vita e insieme illuminarsi d’amore.

A parole è tutto facile, tutto romantico. Nella realtà, nei fatti è, leggermente tutto più complesso.
Spero le mie candele bastino ad illuminare questa vita, e reciprocamente queste due vite.

 


Il post è relativamente lungo, come al solito. Un pò malinconico, ma sono sempre stato malinconico. Per chi è arrivato alla fine grazie, per chi non è arrivato o ha saltato tutto, grazie comunque.

Buona domenica.    
    

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri mi è capitato di rivedere un vecchio film, visto anni fa. La trama offre vari spunti per riflettere e visto che sono qui per raccontare, vi racconto le mie impressioni.

 

Il film è: Il riccio.
Tratto dal romanzo: L’eleganza del riccio di Barbery Muriel. Il libro letto senza grande passione a dire il vero, so che ha avuto tantissimo successo.
Sinceramente non l’ho trovato eccezionale, ma credo sia una questione di gusti, le mie letture sono più vivaci e sporadicamente più fantasiose.

 

Il punto su cui voglio concentrarmi, oggi, è sullo sviluppo narrativo di un personaggio in particolare.
Madame Renée, la portinaia, che (attenti pericolo spoiler) nasconde sotto la sua area all’apparenza sciatta e burbera, un’area animata dalla sola presenza del proprio gatto e dalla televisione, un’anima sensibile, amante della lettera e della filosofia giapponese ed è proprio questo interesse che la spingerà a fare amicizia con un nuovo inquilino, il signor Ozu Kakuro, per l’appunto giapponese, che riuscirà con la sua gentilezza e intelligenza a far aprire quel riccio chiuso da lungo tempo al mondo. Infatti Reneé, che è in realtà una persona coltissima per non scontrarsi con il mondo in cui vive, un mondo fatto di uomini superficiali e stereotipati, preferisce celare la propria cultura, nascondendo così quella natura unica e sensibile.
La conoscenza con il signor Ozu le darà luce e speranza per il futuro. Un giorno però, Renée viene investita da un camion mentre attraversa la strada e muore. Questa conclusione è a mio parere, forzata. Perché serviva all’autrice per fornire una nuova visione della vita alla vera protagonista del romanzo, la piccola Paloma, che decide dopo la perdita dell’amica, che forse c’è ancora qualcosa per la quale vale la pena vivere (la piccola era, infatti, un’aspirante suicida).
Il punto che m’interessa analizzare è la fatalità. Quel perdere tutto nel momento che, con fatica, si riesce a trovare la via d’uscita, a ridare nuovamente fiducia al mondo e agli uomini (in questo caso). Una cinica visione della realtà, ma non tanto falsa in verità. Da tutto questo nascono tutta una seria di riflessioni e quesiti.

 

Quanto tempo perdiamo per paura, per sfiducia? Ci nascondiamo, dissimulando quello che siamo pur di non esser feriti, ancora e ancora. E quando poi si riesce ad aver fiducia e finalmente scoprirsi, ci si rende conto che è tardi, troppo tardi.
Non sono totalmente d’accordo sul quel che è raccontato nel romanzo, ma in parte, forse, è un non voler accettare una realtà comune.
Come la signora Renéè, io vivo ed ho vissuto come un riccio, chiuso profondamente in me stesso. Al di là delle motivazioni ben più complesse di quelle raccontate nel romanzo, è un fatto che pochi, forse, una sola persona conosce parte (parte) di quel che vive dentro il mio cuore.

 

Qui racconto tanto, ma sono e resto comunque: un anonimo. Per quanto vera posso pensar sia questa realtà, non è la realtà.
Credo che come me siano in tanti a esser chiusi, rannicchiati come un timido riccio. Lo vedo e lo leggo, e la sensazione di stare perdendo tempo, c’è, ed è assillante, perché il tempo passa e una parte della mia vita, una parte importante è andata.

Quanti ti voglio bene si negato?
Quanti incontri si evitano?
Quando poi si è pronti a non negarli più e non evitarli più, la vita ti attacca pesantemente, quasi insensatamente e quel chiedere diventa una supplica.
L’ho visto accadere alla fine di molte vite. Penso a mio padre che solo alla fine quando era malato ha implorato l’affetto. Ma era tardi oramai.
La natura umana è complessa (mai stata facile da comprendere). Pensateci? Si riesce a dare più ad un oggetto che ad un altro essere umano.
Ho visto ragazzi aver più attenzione per il proprio iphone che per le ragazze che li accompagnavano.
Non so se la realtà è veramente così? Sì!!! So tante cose, conosco tante poesia e racconti, conosco la storia, so leggere un’opera d’arte, apprezzare una pietra vecchia di 3000 anni, ma poco conosco delle persone.
E se considerate che forse ho più amici qui, che nel mondo reale, capite che riccio sono e sono stato.

 

Non voglio chiudere questo post con la sfiducia. Come dice scherzosamente la mia compagna: sei uomo, quindi sei superficiale, ergo non hai motivi per esser pessimista. :-) Mi riallaccio al Post di ieri e concludo così:

 

“Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c'è un'alba che ci aspetta.” Khalil Gibran.

 

 

Buona giornata a tutti e buon week and.

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natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ci sono versi di gioia, di incontenibile vivacità che riescono a trascrivere l’amore sulla pelle.
Ci sono versi di infelicità, d’insostenibile tormento che scaraventano il cuore lontano da ogni fonte di luce.

 

Versi che raccontano le pene della guerra, le pene della malattia, le pene dell’amore e le pene d’una vita fallita.

 

Perché si leggono?
Per lo stesso motivo per cui si leggono le poesie d’amore, per dare integrità all’anima. Per dare quel senso di interezza che solo nell’equilibrio di emozioni e sensi, trovo e riesco a trovare, trovi e riesci a trovare.

 

Perché anche il dolore è un’esperienza. Un’esperienza che non va anestetizzata, né cancellata.

 

Ci si può sentire stanchi, irascibili, privi d’ogni interesse, avere la percezione di non essere più quelli di prima e sentire nel cuore di non avere più via d’uscita.

 

Tutti!!! Tutti prima o poi si sentono o si sono sentiti così. Io mi ci sento molto spesso e raccontarlo è un modo per creare una porta e le porte sono vie d’uscita.

 

Il dolore va accolto al di là di quel che si può pensare: con dolcezza. Vissuto come si vive una persona cara. Per questo: poeti, cantori e artisti, ne fanno versi, melodie e opere. Per dare forma e identità a quel dolore, renderlo docile, romantico, persino amico.

 

Son parole e a parole tutto è facile. Non è facile per niente. C’è chi si arrende.
Per un'istante, un solo istante è capitato anche a me di pensare alla resa, un pensiero che è durato 300 metri, il tempo d’arrivare a casa. Viste le tele, i tubetti di colore, i pennelli, tutto è sfumato, lividi e offese sono semplicemente svaniti.

 

Perché sto raccontando tutto questo?
Non lo so!!! O forse lo so e non lo voglio concretizzare. Oggi questa è l’ispirazione.
Ma credetemi non è la tristezza che voglio imprimere in queste parole, anche se sembra all’apparenza così.

 

Anche la poesia che ho letto e che condivido ora:

 

 

Non è poi così triste come può sembrare. Sì il cuore è arido, lo sguardo non sente più calore e la notte è trasformata in una tomba. Ma si è all’alba, ed ogni parola ha un significato per il poeta, che ha relegato alla notte il tormento che priva della speranza e fa morire l’anima. All’alba la vita rinasce e sente, continua a sentire. Il dolore diventa vita, la vita che contrasta la morte.

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