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Il genere, il sesso e Marlene Dumas

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La mostra dedicata a  Marlene Dumas a Palazzo Grassi

La mostra dedicata a Marlene Dumas a Palazzo Grassi

Da noi, in Patria, ogni volta che c’è da fare una nomina uomini di mezza età si accaldano nei consigli di amministrazione lambiccandosi alla ricerca di “una donna” – indistinta, quota rosa, qualsiasi – ne basta una su dodici posti disponibili per aver salva la coscienza. Perché questo è lo spirito del tempo, giusto?, lo hanno capito anche i mandarini sempiterni: per fare “come si deve” bisogna trovare una donna, e chissà come procedono nella ricerca: se hanno salvato i nomi femminili tutti alla “D”, se vanno a memoria, se chiedono alle mogli, alle figlie cinquantenni e alle giovani amanti un aiuto da casa.

Non ci riescono quasi mai, avrete notato, e quando succede diventa notizia: perbacco, eccola, una donna. Forse – forse – è sbagliato il metodo. Si potrebbe procedere per meriti, per competenze, per qualità specifiche e poi all’interno di quelle osservare un equilibrio: tra i molto bravi a far quello che serve scegliere uomini e donne in parti uguali. Lo so, è una vecchia storia ma esco dalla Biennale curata da Cecilia Alemani (naturalmente indicata come la “Biennale delle donne”, indeterminato plurale) con la sensazione rinnovata che le eccellenze tra gli spiriti illuminati siano distribuite a prescindere dai sessi, basta offrire tribuna a chi ha qualcosa da dire per averlo chiaro.

Tra tutte l’esposizione di Marlene Dumas a Palazzo Grassi brilla per potenza visionaria, eretica e poetica, erotica, ironica. Le bocche, i sessi, le gallerie di volti (saranno maschi? Saranno femmine?) e non occorre essere giovani all’anagrafe per leggere il tempo, non è detto che un’artista di 68 anni non sia in grado di decifrare il futuro meglio di qualcuno dell’età dei suoi figli, o altrettanto. Pensa te.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo)

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» Gv 3,16-21.

 

Dio non si limita a rendere migliori solo coloro che già sono già buoni. Dio non prende le distanze nei confronti del male. Non osserva dall’alto tutte le cose così poco appetitose che sono nel mondo. Dio entra in tutto il mondo buono e cattivo, trasformandolo con la sua Luce!

 

(Prego)  

O Signore Gesù, che ci chiami a fare ogni giorno la scelta fra la luce e le tenebre, Fa' che le nostre opere siano compiute in Dio con quella fedeltà alla verità che sei tu stesso, Sapienza eterna del Padre, che vivi e regni nei secoli dei secoli.

 

(Agisco)

Come il nostro Dio NON E' VENDICATORE, così nella mia vita fugga ogni tentazione di vendetta.

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Lo fanno per soldi

 
Rerhard Schroeder con Vladimir Putin, l'ex cancelliere è consulente per Gazprom

Rerhard Schroeder con Vladimir Putin, l'ex cancelliere è consulente per Gazprom

Non tutto è reato. Vendere se stessi in cambio di soldi, per esempio, non lo è. Non solo se la merce è il sesso. Si può vendere il proprio corpo, certo, ma si può battere all’asta anche la propria reputazione, un’agenda di contatti costruita in una vita, la credibilità. Quanto vale sul mercato degli affari il prestigio di un ex primo ministro? Quanto costa comprare il cartellino di uno che, in coda a una carriera politica che lo ha portato alla guida di un paese, ora offre i segreti che conosce sul libero mercato degli affari?

Ne abbiamo molte, attorno, di persone che sono state al servizio di tutti (“di tutti gli italiani”, è la frase standard dopo la vittoria) e che poi monetizzano, nel girone di ritorno della carriera, al servizio di qualcuno. Aziende private, compravendite, mediazioni, affari. Ex premier, ministri, sottosegretari, consiglieri personali, portavoce – parecchi, va detto, di centrosinistra – che dopo le istituzioni democratiche scelgono board, comitati scientifici ed elenco consulenti di chi paga meglio. Gerhard Schroeder, ex cancelliere tedesco, partito socialdemocratico, incassa un milione di euro all’anno come consigliere delle aziende del gas di Putin.

Quindi il suo prezzo lo conosciamo: un milione. Chissà gli altri, da noi. Seguo la “Putin connection” dei socialdemocratici tedeschi nei reportage di Tonia Mastrobuoni. Nessuno si scompone, fra gli altrimenti rigorosi amici tedeschi: Schroeder continua a percepire la sua indennità come ex capo di stato, ha un ufficio e un autista. Al New York Times l’altro giorno ha detto in sostanza: non vedo il problema. Non è illecito, non è reato. Infatti no. E’ solo triste e retroillumina, abbuiandole per sempre, certe illusioni di gioventù.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

La prima cosa bella di martedì 26 aprile 2022 è Davide Nicola. Sulla sua carta d’identità sta scritto che è un allenatore di calcio, ma in realtà è un escapista, l’ultimo erede di Houdini. Nicola prende squadre in agonia, con la cartella clinica che indica: retrocessione garantita, somministrare placebo. Arriva, le studia un po’, poi le scuote e cerca di rianimarle. Ci riuscì a Crotone e fu un mezzo miracolo. L’altro lo sta provando a Salerno. In mezzo ci furono, non riconosciuti dalla congregazione delle cause dei santi, Genoa e Torino. Tutti ricordano che per celebrare l’impresa andò in bicicletta da Crotone a Torino: un’altra risalita, lunga quanto la penisola. Il suo direttore sportivo dice che dovrebbe stare all’Inter, io credo che ogni uomo abbia la propria dimensione e missione, che esista un fascino estremo nel chiudersi in una cassaforte, farsi buttare in fondo al mare e venirne fuori, tornare su. La vetta è per allegri conti, gente che gioca con gli assi e non ha mai preso un due di picche. Il fondale è per pesci nicola, che hanno bisogno di toccarlo per crederci e di non crederci mai per tornare a galla. Poi dicono: la salvezza è il mio scudetto. Non è così per tutti noi, ogni giorno?

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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo)

«Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto» Gv 3,7-15.

 

Per essenza, è la sua origine che determina l’uomo. È questa che decide quanta comprensione egli ha di se stesso, del suo essere, delle sue opinioni, del suo comportamento. Nati dalla carne, ci si può capire solo in funzione del mondo. Ma nascere dallo Spirito permette di avere una nuova percezione di se stessi.

 

(Prego)

Signore, che continui a rivelare a noi i segreti del tuo amore attraverso le Sacre Scritture, fa' che penetriamo nel mistero della tua croce gloriosa con una fede sempre più gioiosa.

 

(Agisco)

Dedico un pensiero alla croce, non come macigno, ma segno del suo amore per me.

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Uniba nuovamente protagonista di una rilevante scoperta scientifica

 
 
 

Un articolo spiega la coesistenza pericolosa tra fegato grasso, consumo di bevande alcoliche e malattie del metabolismo

L’attività di ricerca dell’Università degli Studi di Bari conduce ad un’altra importante scoperta: di recente dei ricercatori dell’Uniba, assieme a ricercatori della Saarland University di Homburg (Germania) e dell’Università di Pamplona (Spagna), hanno pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Molecular Science un articolo sulla coesistenza pericolosa tra fegato grasso, consumo di bevande alcoliche e malattie del metabolismo.

Il primo autore della pubblicazione, il Dr. Agostino Di Ciaula, spiega che la steatosi epatica (ovvero l’accumulo di grasso nel fegato) rappresenta la più comune causa di malattia cronica epatica e si verifica in un adulto su quattro. In passato, la stetatosi legata a malattie del metabolismo (come il diabete e l’obesità) e la steatosi da consumo di bevande alcoliche non erano ritenute in correlazione. Ora si può affermare che le due possono ‘’cooperare’’ in presenza anche minima di alcool, comportando un peggioramento della malattia verso forme molto importanti come la cirrosi.

Il Prof. Piero Portincasa, coautore dell’articolo e Direttore della Clinica Medica “Augusto Murri” di Bari, specifica che il termine steatosi epatica non alcolica riguarda sia astemi che bevitori di 2-3 drinks al giorno. Dunque, ad un soggetto affetto da steatosi epatica, è consigliato evitare, in ogni caso, qualunque tipo di consumo di alcool. Sono auspicabili una capillare educazione sanitaria sul consumo di bevande alcoliche e un impegno nel porre fine alla crescita della steatosi epatica “metabolica” nella nostra società.


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Divorzio di velluto, di Jana Karšaiová

 
 
 

Candidato al Premio Strega

In questo racconto le pagine trasudano una malinconia legata a momenti belli, felici della vita, momenti in cui ti senti protetta, supportata, raccolta da mani affettuose che ti costringono stretta.

Momenti che appartengono ad un passato che nel bene e nel male ti ha forgiato e ti ha fatto diventare ciò che sei.

Tutto questo viene fuori attraverso la narrazione della vita di Katarína, i suoi ricordi e le sue emozioni partorite dai rapporti con i suoi fratelli, soprattutto con sua sorella Dora, con la sua mamma tutta divieti e raccomandazioni, con le sue amiche, con le sue conoscenze ceche sempre pronte a scherzare con spiacevoli freddure sugli slovacchi e con Eugen, suo marito.

Si comprende, così , come nella vita si esperiscono varie situazioni che ti accolgono tra i fiori per poi svanire lasciandoti addosso un lieve profumo un tempo intenso e determinante.

I legami familiari, i luoghi dell’infanzia, le amicizie strette, gli amori scoperti tutto cade in un turbinio di danze veloci e nello strappo del cambiamento, a volte, repentino, c’è tutto il dolore intenso che ti rende comunque viva e ti spinge a capire chi sei e ad intraprendere una nuova strada.

Quanti “divorzi di velluto” avvengono nella vita di ognuno? Quante separazioni volute o subite ti travolgono e tristemente ti fortificano?

Questo libro è una danza nella bellezza cangiante della vita fatta di distacchi non facili ma a volte necessari e sorprendenti come è avvenuto nel ‘93 tra la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Separazione questa che fa da sfondo e diventa specchio di tutte le spaccature che avvengono nella vita per insegnarti che “per andare avanti bisogna, a volte, abbandonare e abbandonarsi”.

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La fine del lupo travestito da nonna

 
Un momento dello scontro televisivo fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen

Un momento dello scontro televisivo fra Emmanuel Macron e Marine Le Pen

Chi subisce il fascino del Male ama i lupi, non le nonnette. Se il lupo si traveste da nonna è per mangiare la bambina, come ognun sa: non vuole certo convincere i lettori di essere una nonna per davvero. Nel duello televisivo fra candidati, invece, Marine Le Pen si è presentata ai francesi mascherata da nonna (da zia perbene, è lo stesso) con l’intenzione di persuadere: una signora ridente e gentile preoccupata del benessere di grandi e piccini.

Del lupo che è in lei, nessuna traccia. Mai una parola sugli immigrati che vengono a stuprare e rubare, niente sui musulmani e sulle crociate da fare, non un cenno al pericolo islamico, all’invasore: scomparsi dal discorso i nemici su cui Le Pen ha costruito con successo la fama di lupo che l’ha portata fino al ballottaggio. Nemmeno un ammiccamento, un occhiolino al pubblico come a dire: guarda che mi tocca fare, ma lo vedete tutti che sono sempre io. Ora però il problema è questo: chi ama le nonne, fra una nonna vera e un lupo mascherato sceglie la nonna.

Chi ama i lupi, se non trova il lupo torna a casa deluso. I cattivi travestiti da buoni dispiacciono ai primi e non convincono i secondi. E’ un po’ la questione di fascisti e sovranisti costretti per interesse a farsi forza moderata di governo, pensate a Salvini: perdono identità ed elettorato. E’ anche, in forma speculare e contraria, il problema dei leader di sinistra che pensano di crescere al centro: perdono la sinistra, spesso anche il centro. Macron è arrogante ma preparato, Le Pen è fascista ma non ha studiato altrettanto: se smette di essere fascista, resta l’incompetenza. Del resto la fiaba insegna: se sei un lupo e ti travesti all’inizio magari convinci, poi fai una brutta fine.

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Mamme di guerra

Mamme di guerra
1 minuti di lettura
 
 

La prima cosa bella di venerdì 22 aprile 2022 sono state certe mamme di guerra. No, non sto pensando all’Ucraina, è ad esempi italiani che mi riferisco. In un paesino della Toscana incontro una donna che mi racconta la storia di sua nonna. Era una persona umile, sposata, con figli. Lavorava presso la casa di una famiglia abbiente del posto, che di figli ne aveva cinque. Improvvisamente, la mamma di questi muore. Il marito si dispera, non sapendo come allevare tutti quei bambini. La donna gli dice: “Non si preoccupi, ci penso io, li crescerò come fossero miei”.

E così fa, stringendoseli al petto, uno a uno. Ai suoi figli che protestano perché la vedono dedicarsi ad altri spiega: “Voi una mamma l’avete, loro no”. Il marito approva. I bambini, tutti, crescono all’ombra di quell’esempio. Il padre vedovo allarga la cappella di famiglia perché possa, quando verrà il giorno, ospitare tutti quanti, non hanno importanza i cognomi: li lega la generosità. Uno pensa sia una cosa eccezionale, ma così andava.

Perfino di mia nonna, che era la più ruvida del creato, scoprii con sorpresa che per i cinque anni della guerra aveva dato a mia madre una sorella temporanea, prendendo in casa la figlia di un vedovo partito per altre terre. Poi, il 22 aprile del ’45, a liberazione della città avvenuta, lui era tornato e gliel’aveva restituita. Una carezza in fronte: “Buona vita”. Ed era tornata a lavorare. 

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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo)
Gesù disse loro: «Venite a mangiare» Gv 21,1-14.

 

Colui che ci accoglierà alla fine, già ora prepara un pasto eucaristico di ristoro, indipendente dai risultati ottenuti, anche se, come i pani della moltiplicazione, in qualche modo anch’essi vi partecipano: il frutto della propria pesca, ciò che la parola del Signore ha reso possibile, si integra col già preparato. In un banchetto gratuito, anticipazione del paradiso, si può sperimentare la gioia preannunciata da Gesù nei discorsi di addio: la situazione in cui lo si conosce, non c’è bisogno di fare domande, e si scopre che la pesca infruttuosa è l’accesso alla comunione col Signore.

 

(Prego)
Rinati dalla luce, figli del giorno
Signore, a te veniamo nel mattino
la tua parola dissipa le ombre
e libera dal male il nostro spirito.

 

(Agisco)  
Non confidare in salvezze illusorie o edifici destinati a perire, per comprendere l'unicità del valore salvifico del Cristo morto e risorto per tutti.

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