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Un libro

 
 
 

«Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo la incredibile virtù e lincredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, incredibile universo che ci fissa in volto»

(G. K. Chesterton)

Il libro di Dio ha una caratteristica che lo distingue dagli altri: se lo lasci aperto davanti alla tastiera del tuo computer e torni nella stanza il giorno dopo, non vedi un libro, ma guardi una casa. È lì, qualsiasi atro testo avrebbe forse pensato di essere stato dimenticato, lui no: trasuda pazienza e  ha l’aria di chi ammette di essere rimasto tutto il tempo ad aspettare, senza mai aver rinunciato a credere che saresti tornato.

Ci puoi tranquillamente parlare con quel libro, perché non è come quelli (anche bellissimi) che ti sorprendono, ti tagliano o ti rasserenano: il libro di Dio solo una cosa fa… risponde e non giudica. Se gli parli male, se lo interpreti a modo tuo, non si offende, ti perdona perché sei tu a non sapere quel che fai. Sei innocente e prima o poi ti illuminerai.

Va bene, è vero, forse il mio libro di Dio parla un poco di più, se si può: è pieno di post-it, zeppo di linee colorate e appunti presi a matita, ma tutto questo non è che il segno di tutte le conversazioni che ci siamo fatti negli anni.

Noto che spesso abbiamo anche cambiato lingua, parlato in greco, a volte siamo scivolati nel latino. L’italiano è stato davvero una cosa rara, forse uno sfondo che correva sempre in aiuto, perché le cose più belle ce le siamo dette in ebraico; forse era quello il modo migliore che il libro di Dio aveva per farsi capire: versione originale.

Shemà, Israel… il libro chiama. E tu lo senti, piano piano sempre più chiaro. Fino a che non ti scopri ad ascoltarlo. Ed è quello l’esatto momento in cui devi essere pronto, perché il libro di Dio non lo ha mai nascosto: ascoltami, in qualche modo dice, ma attento, perché ti accorgerai che finalmente hai trovato il modo giusto da una cosa, perseguiteranno te, come hanno perseguitato me.

Alcune persone, dicono, hanno imparato ad ascoltare l’Universo e avvertono, quando ne parlano, di fare attenzione, poiché quanto stanno per dire stride terribilmente con tutto quanto conosciamo. Bene, io mi metto sempre in posizione di ascolto quando si tratta di qualcosa che va oltre la mia conoscenza, e in quei casi ho scoperto che certi discorsi non sbagliano un colpo, non uno, salvo che per un verso, che non è un errore, ma solo una sfumatura.

L’Universo, che è ovunque,  è anche nel mio libro. Creazione Sua? Queste sono altre storie e non era di loro che stavo parlando.

In verità, in verità vi dico, non stavo parlando assolutamente di niente.

Amen.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Doppio cognome e tempo libero

 
Una rivoluzioanria sentenza della Corte Costituzionale definisce lesiva la presenza del cognome di un solo genitore sugli atti di nascita

Una rivoluzioanria sentenza della Corte Costituzionale definisce "lesiva" la presenza del cognome di un solo genitore sugli atti di nascita

Dev’essere che non c’è lavoro, il volontariato è in crisi e le passioni personali si sono estinte insieme alle mezze stagioni giacché da due giorni – leggo – è in corso una gara a occupare il tempo libero: tutti a chiedersi come si farà a gestire la novità del doppio cognome, se i figli ne avranno quattro e i nipoti otto, e allora quante righe ci vorranno sui documenti, pensa che memoria ci vuole quando uno si presenta per non parlare delle cifre ricamate sui corredi, ammesso che esistano ancora i corredi, facciamo le camicie.

Porto qui il modesto contributo della cultura ispanica, dove l’uso del cognome materno è legge e prassi. Là ci si è regolati fermandosi sempre a due. Si prende il cognome dei genitori, talvolta scegliendone l’ordine. Esempio. Se Azzurra Meloni Salvini sposa Giacinto Letta Renzi il figlio si chiamerà, poniamo, Guidobaldo Meloni Letta. Potrà anche decidere di anteporre il cognome della madre a quello del padre (Guidobaldo Letta Meloni, quindi) o di usarne solo uno come molti fanno per semplicità e scelta.

Pablo Picasso, per esempio, si chiamava Pablo Ruiz Picasso ma lo conosciamo col cognome dalla madre, donna Maria. Il padre faceva Ruiz y Blasco. I due cognomi sono difatti uniti da una “e” (Guidobaldo si chiamerebbe Letta e Meloni, o viceversa) anche – non solo, anche – per distinguere il doppio cognome dato per legge da certi titoli nobiliari, che sono già doppi o tripli in dote: Benigni Olivieri marchesi di Capo d’Acqua, per esempio. E dunque no, non c’è il rischio di sembrare tutti principi e marchesi, con questa bella civilissima sentenza della Corte. In ogni caso, quanto a lignaggio, non si corre il rischio di confondersi per una e di congiunzione: quasi mai.

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(Leggo)
«... nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo...Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» Mt 11, 25-30.

 

Tranquilli, tutto il peso lo porta Lui a noi lascia e affida solo un pezzettino. Abbiate forza e coraggio, Lui è con noi!

 

(Prego)
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.

 

(Agisco)
Essere cristiani significa essere buoni cittadini, mi impegno a diffondere il senso del bene comune di tutti.

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Almarina

 
 
 

 di Valeria Parrella

Leggere questo libro in prima persona è un’esperienza particolare un po’ per la trama, un po’ per l’ambientazione e un po’ per i risvolti inattesi.

Si racconta di Nisida che è un carcere sull’acqua, ed è il luogo ove Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant’anni, vive sola e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, una ragazza rumena dal passato non facile e allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte.

La storia si dipana quasi come un flusso di coscienza della protagonista in cui si nascondono verità che ognuno di noi nel proprio intimo, nella profondità del proprio cuore ha vissuto, ha esperito, ha sentito.

Temi quali: la morte, il carcere, la solitudine, l’adozione, la professionalità nel proprio lavoro, nascondono un’umanità profonda, strettamente connessa al modo di essere che ogni individuo ingloba in sé.

Un universo di immagini in cui ognuno nel bene e nel male fa la sua parte per destino, per scelta, ma in questo libro tutti sono mostrati con dignità e senza giudizio perché non è mai troppo tardi per donare la dolcezza di uno sguardo, la promessa di un futuro migliore, il tepore accogliente di una famiglia.

Un racconto di speranza per chi vive accecato dal buio…

Finalista al Premio Strega.

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Per una filosofia del gesto

 
 
 

A proposito del saggio di Giovanni Maddalena, Filosofia del gesto. Un nuovo uso per pratiche antiche (Roma. Carocci 2021)

Pur avendo il pensiero  filosofico una lunga e tortuosa storia come ogni sano percorso di ricerca sul reale per scovarne le  ‘infinite ragioni’, come le chiamava Leonardo Da Vinci, a volte non ha dato sufficiente attenzione critica ad alcune  componenti essenziali che hanno accompagnato sin dai suoi albori la stessa storia dell’umanità, come ad esempio quel costante fenomeno della violenza ed il gesto, movimento del nostro corpo per comunicare; mentre si sono sviluppate in modo organico le filosofie dell’arte,  della scienza,   della tecnica,  del diritto,  del linguaggio, della religione e della politica,  tali aspetti sono stati affrontati in parte all’interno di settori specifici come la storia, la psicologia e l’antropologia che, pur avendo dato dei contributi non secondari alla loro comprensione, non sono approdate ad una trattazione di tipo  più teoretico. Tale operazione si rivela più che mai necessaria sia per coglierli  nel loro pieno spessore storico-concettuale e sia per meglio metabolizzarli con più coscienza socio-epistemica sul piano esistenziale per il semplice fatto che appartengono alla nostra storia individuale e collettiva; prenderli in carico, inoltre, serve anche a ricordarci, sulla scia di Edgar Morin, che non siamo solo homo sapiens, ma spesso homo demens, le cui derive stanno assumendo connotazioni planetarie sino a investire più che mai, rispetto al passato, quelle che Michel Serres ha chiamato ‘totalità viventi’ come il clima, l’ambiente, la terra che dipenderanno  in maniera irreversibile dalle nostre scelte.

In questi ultimi anni ci vengono in aiuto da più parti degli itinerari di ricerca che stanno inserendo questi reali  quotidiani in una precisa riflessione organica a largo raggio, come la filosofia della violenza da parte di Lorenzo Magnani, Filosofia della violenza (Milano-Udine, Mimesis 2021)  e la filosofia del gesto, percorso a sua volta portato avanti da Giovanni Maddalena in Filosofia del gesto. Un nuovo uso per pratiche antiche (Roma. Carocci 2021), a partire dall’ovvia domanda su cosa essi siano effettivamente e su quali ragioni trovino il loro modo d’essere. Come molte ricerche sulla violenza  rientrano nelle discipline storico-sociali, così gli studi sui gesti delle mani o del corpo hanno dato origine al quel vasto capitolo che va sotto il nome di gesture studies  con l’investire l’antropologia, la psicologia, la sociologia, l’etologia, la neurologia, la linguistica e la robotica col portare nel 2002 alla fondazione dell’International Society for Gesture Studies (ISGS) con la rivista interdisciplinare Gesture; ma come denuncia Maddalena e autore di precedenti lavori sul pragmatismo, questa dimensione dell’umano non ha ricevuto una trattazione filosofica adeguata alla sua complessità pur avendo una lunga storia, col far parte in modo costitutivo della nostra vita per il ruolo del gesto nelle varie forme di comunicazione e nell’interazione sociale.

L’ottica filosofica per la sua vocazione sintetica che è le propria, pur facendo tesoro dei risultati ottenuti nelle singole discipline che in maniera più analitica ne  colgono alcuni aspetti, permette di cogliere più in profondità quella che viene chiamata “l’antica pratica dei gesti” e nello stesso tempo porta a intravvederne lo “spettro di azioni molto più ampio che include anche i riti, le performance artistiche, la comprensione diagrammatica della matematica e gli esperimenti scientifici”. Ma  per capirne il ruolo, bisogna liberarsi da alcuni ostacoli epistemologici, a dirla con Gaston Bachelard, costituiti da una parte dal vedere  l’atto conoscitivo come un puro fatto concettuale  e da  “antiche dicotomie , come quelle tra mente e corpo” incuranti di altri aspetti della conoscenza e dall’altra parte dall’idea che solo “il corpo, l’esistenza, la materia, la carne, il temperamento” senza il necessario sforzo critico razionale possano costituire la base dell’impresa cognitiva.  A tutto ciò si è aggiunto, a partire da fine Ottocento, un “ulteriore dualismo quello fra conoscenza e comunicazione “ processo che avviene “quando la conoscenza è compiuta” sino a cadere nell’idea che “la comunicazione è la realtà”; contro questi dualismi ritenuti insoddisfacenti è necessario per Maddalena “trovare una via nuova, davvero unitaria” con l’andare oltre “il ragionamento concettuale analitico” per abbracciare quello “sintetico”, ritenuto “processo originale” più in grado di far dialogare il corpo, la pratica, l’azione e la comunicazione “all’interno della conoscenza e  per la conoscenza”.

Con questa prospettiva decisamente non analitica e che trova una delle sue ragioni nel “modo di ragionare naturale e dinamico”, ci si pone l’obiettivo teoretico di creare le condizioni per una “nuova concezione della sintesi” dove lo strumento primario è costituito dall’azione significativa del gesto’ nel senso etimologico del termine latino gero, che sta ad indicare il portare, il sostenere; in tal modo si recupera per Maddalena  “l’unità tra comunicazione e pensiero, tra mente e corpo,  tra teoria e pratica, contemplazione e azione”, idea di fondo che sta a monte della Filosofia del gesto. Tale opera, grazie  alla metabolizzazione epistemica di alcuni risultati di punta raggiunti in campo matematico e filosofico, si può considerare come un manifesto di una visione unitaria della conoscenza dove il gesto e l’azione sono il modo con cui ragioniamo creativamente e sinteticamente, dove non c’è separazione tra teoria e pratica, tra aspetto spirituale e materiale che procedono insieme. Da un’analisi, pertanto, di un reale quotidiano che ci appartiene in ogni momento della nostra vita, si ricavano le basi  per un “nuovo paradigma del ragionamento” e degli “strumenti per la conoscenza sintetica”, in quanto nei comuni gesti ed azioni (sollevare un peso, avvicinarci a qualcosa, il toccare, il mangiare, ecc.) è implicito il fatto che sono “portatrici di una conoscenza”, come lo sono il “teatro, il cinema, la danza, i riti, pubblici e privati, gli esperimenti scientifici”

Così  tale breve ma intenso volume passa in rassegna le varie forme di gesto dai gestacci per offendere qualcuno alle imprese eroiche dei condottieri medievali, dai riti della Chiesa ai diversi significati nella lingua francese dove alcuni filosofi della matematica come Jean Cavaillès prima e Gilles Châtelet dopo hanno parlato di ‘gesto matematico’ e del suo carattere creativo; è presente nello stesso Michel Foucault che lo usa in Storia della follia  per capire il ruolo dei sanatori, ed in  Cesare Pavese che lo considera  superiore alle parole prima del suicidio. Così per Maddalena, grazie anche ai suoi studi precedenti sul pragmatismo di Peirce il cui disegnare dei  grafi è considerato un gesto,  la storia del pensiero umano è visto come un continuo processo di acquisizione  di nuove conoscenze dove giocano un ruolo primario i gesti, sinonimi di ”conoscenza sintetica in virtù di una loro struttura” e portatori di un “nuovo significato” grazie al loro modo di rappresentare la realtà. Con questa  nuova configurazione concettuale  del gesto, si ottengono “alcune conseguenze” a partire dal fatto che vengono  meno  i vecchi dualismi cartesiani come mente e corpo, si ridimensiona l’impianto puramente analitico della conoscenza con i suoi processi di schematizzazione e le collaterali “conseguenze storico-sociali” che hanno portato  nel ‘700 a “costituzioni tutte teoriche indifferenti alla vita reale del cittadino fino ai tremendi esperimenti di totalitarismo statale del Novecento”.

Il gesto con la sua struttura sintetica  per Maddalena “comporta un uso della mente in azione attraverso tutta la personalità, spirituale e materiale”, fatto che permette di evitare qualsiasi tipo di estremismo, sia epistemico che sociale;  così l’approfondimento di un reale quotidiano visto nelle sue diverse articolazioni si presenta ricco non solo sul piano conoscitivo nel senso che costringe ad assumere un “paradigma sintetico” col superamento della ormai vecchia “divisione razionalista tra discipline” umanistiche e scientifiche, “sempre interconnesse” e se studiate secondo l’approccio analitico “si allontanano tra di loro ma si riavvicinano quando vengono perseguite e realizzate in chiave sintetica”. In tal modo  la filosofia del gesto, che fa suoi alcuni risultati raggiunti dalla scuola di Fernando Zalamea nella sua ‘filosofia sintetica della matematica’, permette di recuperare in pieno una visione globale della “ricchezza umana” dove “le vicende esistenziali, la cultura generale, le credenze personali” concorrono  all’unisono nella “dinamica della conoscenza” facendola confluire nei processi creativi, inventivi e della stessa scoperta;  nella costruzione del gesto presente in ogni angolo della vita umana dal singolo esperimento scientifico all’invenzione in matematica dove a dirla con Eulero ‘c’è più matematica nella mia matita che nella mia testa’, dalla vita sociale all’universo  artistico, dalla tecnologia  allo stesso lavoro, si esprime in tutte le sue potenzialità il reale con le sue inevitabili rugosità, come afferma Simone Weil.

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Una valigia piena di sogni

Una valigia piena di sogni
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Una valigia non è solo una valigia, avrebbe detto un grande pittore del secolo scorso. Una valigia è quello che ti serve per partire e scoprire il mondo. Un contenitore di oggetti necessari, ma anche di sogni. Una valigia è tutto quello che hai, se sei fortunato, quando scappi dal tuo Paese in guerra. Come i profughi dell’Ucraina.

 

Michael Kogelnik nella vita vuole fare valigie. Vuole fare “la valigia più leggera del mondo”, meno di un chilogrammo, e questa leggerezza, un po’ come Italo Calvino, lui la collega alla felicità. E quindi la sua valigia perfetta è gialla come il sole. Ha 35 anni, è nato a Salisburgo, ma ha ascendenti italiani e appena ha potuto si è trasferito in Italia, sul lago Maggiore perchè, dice, "niente è bello come i nostri laghi". Qui ha fondato la sua startup e l'ha chiamata Bazza, perché voleva un nome fortemente italiano e lo voleva con due zeta nel mezzo; e su un sito ha trovato questa espressione bolognese “solo perché suona bene”.

Per la startup aveva preso in affitto un capannone e un piccolo edificio alle porte di Novara e assunto un team, poi è scoppiata la guerra in Ucraina. Ha visto come noi in tv migliaia di persone scappare portandosi tutta la vita in un trolley e ha pensato: per un po’ possono venire a stare da noi. Non tutte, ovviamente: due famiglie. In due settimane il team di Bazza ha smontato gli uffici del piano terra e li ha trasformati in un appartamento adatto a ospitare anche bambini piccoli, giochi e peluche compresi.

 
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All’inaugurazione c’era anche il sindaco di Oleggio, che si è prodigato per i permessi. E dalla regione di Cerkasy sono arrivate due giovani mamme e quattro bambini (i mariti sono rimasti a combattere). Presto, sperano, potranno tornare a casa; presto, spera Michael, la valigia più leggera del mondo sarà sul mercato. Ma intanto ha capito una cosa: che il materiale più importante per farla sono i sogni.

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Viva le Forze Armate della Resistenza

 
Michele ha fatto l'Accademia di Modena nel 1966

Michele ha fatto l'Accademia di Modena nel 1966

Michele Pezzetti, nato a Savona, 75 anni, colonnello in pensione, volontario del 118

Vorrei onorare in occasione della ricorrenza del 25 Aprile i militari ( di leva ed effettivi) che parteciparono alla Liberazione. Questa storia è sconosciuta ad una larga parte degli italiani.  Tantissimi giovani  hanno combattuto la guerra di Liberazione con addosso l'uniforme del rinato esercito italiano. L’armistizio dell’8 settembre 1943 aprì le porte dell’Italia all’invasione nazista. Due gruppi d’armata sotto il comando dei Feldmarescialli Erwin Rommel (al nord) e Albert Kesselring (al centro – sud) disarmarono e imprigionarono la gran parte delle Forze Armate italiane (solo la flotta riuscì a sfuggire alla cattura prendendo il largo ma la corazzata “Roma” fu affondata da aerei tedeschi con perdita di quasi tutto l’equipaggio).

Il Paese venne occupato e si scatenò sul suo territorio una guerra cui partecipò, oltre alle forze partigiane inquadrate in quello che sarà poi chiamato Corpo Volontari della Libertà, l’esercito italiano con proprie unità regolari che assunsero il nome di Primo Raggruppamento Motorizzato quindi Corpo Italiano di Liberazione e infine Gruppi di Combattimento.

In particolare, i Gruppi di Combattimento erano sei ed erano denominati “Piceno”, “Friuli”, “Cremona”, “Folgore”, “Mantova” e “Legnano”. In totale circa 60.000 uomini equipaggiati, armati e addestrati dai britannici. A queste truppe si affiancarono le “Divisioni ausiliari” italiane non direttamente impiegate in combattimenti ma essenziali per il supporto logistico degli angloamericani.

Al termine della lunga e drammatica campagna d’Italia 1943 – 1945 si stima che più di 3.000 soldati siano caduti nella dura lotta per la liberazione (molti di questi riposano oggi nel Sacrario di Mignano Montelungo).  I combattimenti di Monte Lungo, Monte Marrone e Filottrano così come la liberazione di tante città italiane, tra cui Bologna, rappresentano la misura del prezioso contributo dell’esercito italiano alla riscossa e alla liberazione dell’Italia umiliata e oppressa.

Non va mai dimenticato che questi soldati mostrano speranza nella totale disperazione dei più e coraggio nel generale scoramento dei molti, offrendo il loro sacrificio per quell’Italia libera e democratica che oggi conosciamo.

L'interesse per la partecipazione delle Forze Armate nasce anche dal fatto che ho fatto la carriera militare, frequentando ln Accademia di Modena nel 1966 e congedandomi da colonnello. Ma in Accademia nessuno ce ne parlò mai. Invece nel 1992  ero a Bologna in servizio presso una unità di elicotteristi. Ero il più alto in grado dopo il comandante. "Domenica devi andare in mia rappresentanza a una cerimonia perché mi hanno invitato e non posso andarci". Non ricordo il nome del paese, ma era stato al centro di aspri combattimenti in quanto sito proprio sulla terribile tragica linea gotica. Arrivato sul posto seppi che si commemorava un episodio della Seconda Guerra Mondiale.

La cerimonia iniziò con la deposizione di una corona in un cimitero....ma scoprii solo allora che era un cimitero militare dove erano sepolti un migliaio di ragazzi italiani tutti morti fra i 20 e i 30 anni di età. "Chi sono?", chiesi. E solo allora - già ufficiale superiore - seppi che su quel fronte a cercare di sfondare le linee nazifasciste avevano combattuto soldati italiani, partiti dalla Puglia facenti parte del rigenerato esercito italiano assieme con gli alleati.

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Daniel è solo

Daniel è solo
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La prima cosa bella di giovedi 28 aprile 2022 è Daniel, il ragazzo solo protagonista del romanzo di Patrick Fogli Così in terra. Come canta l’altro Vasco: “è un superpotere essere vulnerabili”. Ho cominciato a leggere il libro per simpatia verso l’autore e per la dedica a Otto, il suo gatto scomparso. Ho continuato perché mi ha attratto il protagonista, Daniel, il ragazzino che la madre accompagna in un istituto di suore a cinque anni e abbandona lì, perché muore. Crescendo diventa un illusionista famoso, uno di quelli che la gente chiama “mago”, non sapendo che nome dare a qualcosa che non capisce eppure ha una spiegazione. Qualcosa che sta dentro ognuno di noi, ma solo pochissimi riescono a manifestare. L’interruttore che l’accende è la solitudine. Non incontrare altri, non ascoltare altri, non sentire l’elencazione della legge dei limiti, non avere l’educazione claustrofobica che assegna a ciascuno un quadrato. Non essere cattivi. Sono stati tutti soli i “maghi” della storia. Se n’è avuto più paura che dei dittatori, perché questi erano e sono spiegabili, perfino (direbbero quelli del marketing) aspirazionali. Nessuno vuole essere incomprensibile. Eppure adesso è di maghi che avremmo bisogno. Di bambini soli, buoni e senza confini. Daniel sa di non essere un mago, per questo lo è. 

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(Leggo)
<<Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna>> Gv 3,31-36.
Se noi crediamo in Gesù, Figlio di Dio, abbiamo già la vita eterna. Gesù è il germe della speranza attraverso il quale Dio agisce nel mondo. Dio è diventato un altro, si è fatto uomo. Quindi anch’io posso diventare un altro: ho la fortuna di diventare un uomo, un essere umano in un mondo a volte inumano.

(Prego)
O Dio misericordioso, che ci hai reso partecipi della testimonianza divina donataci dal tuo Figlio, affidandogli le tue stesse parole: Fa' che la nostra fede diventi ogni giorno più feconda per la vita eterna.

(Agisco)
Far percepire ai miei coetanei la bellezza del credere in Gesù vivere sulla terra e con la testa in Paradiso.

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Orientamento Uniba

Di

 Francesco Maria Cassano

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Con l’iniziativa Open Campus 2022 riprende l’orientamento in presenza

L’Università Aldo Moro di Bari, oltre ad essere impegnata nelle molteplici scoperte, che costituiscono un motivo di vanto per la regione pugliese e, più in generale, per il Belpaese, ha anche assunto l’impegno di ripristinare l’orientamento in presenza. È così che, nella giornata di mercoledì 27 aprile, si terrà la seconda edizione di Open Campus 2022, nel Campus universitario “E. Quagliariello” dalle 9.30 alle 16.30. Tale giornata è dedicata a tutti coloro i quali siano interessati (ad esempio studenti e famiglie) a ricevere maggiori informazioni in merito ai percorsi di studio dei Dipartimenti Scientifici del Campus e del Dipartimento di Medicina Veterinaria.

In aggiunta, nello spazio all’aperto nella corte interna Dipartimento Interateneo di Fisica avverrà la presentazione dell’offerta formativa per il prossimo anno universitario da parte di professori, studenti ed operatori dell’orientamento.

Sarà possibile, dunque, informarsi sulle caratteristiche dei vari corsi di studio, quindi venire a conoscenza delle modalità di ammissione, dei piani di studio, degli sbocchi nel mondo del lavoro e delle agevolazioni economiche; si potranno anche chiedere informazioni sui servizi che sono offerti dall’Atene.

Grazie alla disponibilità di rappresentanti degli studenti, docenti e tutor sarà anche permesso colloquiare con loro al fine di ottenere informazioni anche sul mondo universitario nella sua interezza.

L’Uniba opta, in questo modo, per una giusta scelta, dando l’occasione di risolvere dubbi e incertezze a chiunque abbia mostrato interesse al mondo universitario.

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