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donmichelangelotondo più di un mese fa

Non esageri, che sarà mai

Alice Scagni con il suo assassino, il fratello Alberto

Alice Scagni con il suo assassino, il fratello Alberto

Conosco bene la nonna di due fratelli il cui padre ha ucciso la madre, anni fa. La nonna, nella disperazione, quando le parlai la prima volta non faceva che ripetermi che lei lo sapeva, che era andata tante volte dalla polizia, ai servizi sociali, che se lo sentiva: anzi, ne aveva le prove. La figlia non aveva mai denunciato il marito, come a tante donne accade per paura che le cose peggiorino: si confidava però con sua madre.

Nel piccolo paese in cui vive non le avevano dato retta: “Cosa vuole che sia”, le avevano detto, “sua figlia non ha nemmeno sporto denuncia, passerà”. La madre di Alice Scagni, uccisa da suo fratello Alberto, il giorno prima dell’omicidio si era rivolta per l’ennesima volta a un agente implorandolo di sorvegliare il figlio: le ha risposto di non “farla tragica”. Capisco che sia difficile distinguere l’apprensione di una madre da un allarme fondato. Difficile, non impossibile: è un lavoro e qualcuno deve farlo. Qualcuno di preparato, competente: capace di distinguere, appunto. Torno a quella nonna, che ha combattuto per l’affidamento nei nipoti.

I figli di un uomo che uccide una donna restano senza entrambi i genitori. I nonni, spesso, entrano in conflitto: i genitori di chi è morto non accettano che i nipoti restino coi genitori di chi ha ucciso. Si aprono faide familiari inestricabili e può capitare che i bimbi perdano anche i quattro nonni: che non siano assegnati a nessuno, ma a una terza famiglia. Orfani assoluti. Anche i genitori di un figlio che uccide l’altro figlio, come è successo agli Scagni, restano privi di entrambi. Solo che quando perdi i figli non c’è nemmeno una parola per dirlo.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

 (Leggo)

«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» Gv 6,60-69.

 

“Nessuno si deve aspettare da me qualcosa di cui io non sono capace”. Non si può non approvare chi parla così. Anche Dio non chiede a nessuno l’impossibile. Perché, quando qualcuno afferma: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”, ciò oltrepassa di molto il concepibile. E tuttavia: in nome dei Dodici, Pietro esprime la sua professione di fede in colui che parla in termini così poco comprensibili. Egli la giustifica in un modo sorprendente: “Soltanto le tue parole (incomprensibili) sono parole di vita eterna”.

 

(Prego)

Custodisci con instancabile amore, o Padre,
il popolo che hai salvato,
perché coloro che sono stati redenti dalla passione del tuo Figlio
partecipino alla gioia della sua risurrezione.

 

(Agisco)

Modellare il duro linguaggio di gesù in scelte forti e di vita per me.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

LA FIDELIS ANDRIA HANDBALL È CAMPIONE REGIONALE UNDER 17

 
 
 

E SI QUALIFICA ALLE FINALI NAZIONALI

La Fidelis Andria Handball vince il secondo titolo nella sua storia dopo il campionato UNDER 15 dello scorso anno.

È il primo titolo regionale UNDER 17 nella storia della pallamano andriese che si qualifica di diritto alle finali nazionali di categoria che si svolgeranno in Veneto a metà giugno.

Netto il percorso della squadra guidata da mister Colasuonno fatto di sole vittorie e trionfo raggiunto in campionato con tre giornate d’anticipo, esattamente lunedì 2 maggio, a Fasano, contro la Junior Fasano con il risultato di 33-48.

Immensa la gioia della società andriese che aveva posto come obiettivo stagionale la vittoria del campionato UNDER 17, oltre alla costante crescita dei ragazzi.

Con questa vittoria” – afferma coach Colasuonno -“abbiamo confermato la bontà del nostro lavoro nella crescita dei ragazzi di tutto il settore giovanile. Per ora siamo primi anche nei campionati UNDER 15 e UNDER 13. Quasi tutti i ragazzi dell’UNDER 17 giocano in pianta stabile in serie B e la loro crescita prosegue in maniera costante, settimana per settimana, anche sotto il punto di vista della personalità e dell’autostima. Siamo felici di esserci ripresi la vittoria che stavamo raggiungendo due anni fa in UNDER 15 con questo stesso gruppo che, purtroppo, non ha potuto godere della vittoria finale a causa dell’inizio della pandemia. Ora, a metà giugno, ci attenderanno le finali nazionali UNDER 17 e incontreremo squadre di alto livello e con importantissima tradizione in ambito nazionale e a livello giovanile. Ci godremo al massimo questa esperienza e giocheremo sempre per ottenere il massimo risultato”.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Come quando punti una lampadina tascabile contro il cielo

 
 
 
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«A volte, di notte, dormivo con gli occhi aperti sotto un cielo gocciolante di stelle. Vivevo, allora»
(Albert Camus)

In un ormai lontanissimo 2007, qualcuno mi regalò un libro dopo un evento triste e mi scrisse così: (…) un sogno in cui avrei voluto essere e, invece, non cero: scusa”.

Fu allora che imparai quanta storia facciano le assenze, quanto certi buchi nelle pellicole diventino le pellicole stesse, quanto certe scuse non abbiano scuse e quanto un gesto, uno, a farlo e a farlo bene, possa cambiare lintero corso di una vicenda.

Poi la vita va, ed ha sempre ragione lei. Ognuno sceglie di essere ricordato per qualcosa: il libero arbitrio regna sovrano.

È un attimo: le sfumature. Che bellezza! Stregonerie o incantesimi che appaiano a seconda degli epiloghi, hanno qualcosa di particolare, sempre. Le vedi, le vedi tutte e quello che sembra improvviso, non lo è affatto. Grandi altezze o decisi tracolli: un segno distratto di matita e il dado è tratto. In un verso o nellaltro.

Ci vuole cura. Ce ne vuole sempre, per essere attenti e per distrarsi. È sempre unarte che richiede attenzione, poiché qualcuno che se ne accorge non manca mai.

Quelli nell’immagine di copertina, per esempio, sono solo occhiali. Ognuno di loro passa le sue giornate sul naso di una storia e le storie, com’è giusto che sia, a un certo punto si uniscono e finiscono su un tavolo in un ordine imperfetto e colorato: lasciano i loro nasi e restano lì, a fare da sfondo sperando, pur senza averne alcun bisogno,  che qualcuno si accorga di loro e scelga di immortalarle in un momento che, in qualche modo, poi rimarrà eterno.

Perché? Semplice: ogni naso, anche quando è puntato all’insù, è legato ad una mente, ogni mente è sempre legata ad una pancia. Fra le due… i luoghi  delle anime, che sono luoghi lontani, fatti di vite antenate e vastissime campagne.

C’era una volta un uomo, aveva circa 65 anni, era colto, non si era mai sposato, era appassionato di astronomia, aveva un atlante del cielo. Quest’uomo amava passare le notti esattamente lì, fuori dalla sua casa di campagna, con il suo telescopio, nel buio pesto, sotto il cielo stellato, fra il canto dei grilli.

In quelle atmosfere surreali e indimenticabili, che chi ha visto anche una sola volta nella vita possederà per sempre, quell’uomo a volte insegnava a suo nipote, che era piccolo (aveva 10 anni) ed amava starlo a sentire, a riconoscere le stelle e durante una di quelle notti, puntò al cielo una lampadina tascabile.

Disse allora al bambino: Lo sai che se punti la luce di questa lampadina tascabile, tra circa mille anni qualcuno vedrà il segnale che stai mandando adesso?”

Da allora quel bambino ha mandato tanti segnali che sono in viaggio ed immagina ancora che ad anni luce, un giorno, un bambino come lo era lui, vedrà il suo messaggio. Vedrà una luce fioca e sarà quella della sua lampadina tascabile.

La verità è che credo di aver fatto un sogno, che non è certo quello del 2007 in cui qualcuno avrebbe voluto essere, ma non c’era.

Questo è stato un sogno del tutto particolare, a cui ho continuato a pensare anche tutte le volte in cui non l’ho detto: a volte il timore di essere fraintesi, aumenta la necessità di ruminare, specialmente se vorresti poter raccontare che tutte le cose possono essere così belle da commuovere, sogni inclusi. E io l’ho fatto, ho ruminato moltissimo specie sul fatto che quel bambino me lo aveva detto: “Dai che ti ho ispirato per il tuo prossimo pezzo, con una di quelle cose a cui non pensi, ma se ti capita, le ricordi subito”.

Anche il suo naso portava di tanto in tanto degli occhiali, io lo sapevo ma non lo avevo mai visto in compagnia delle sue lenti. Quello che invece avevo visto era una caratteristica particolare: in qualche modo e in molto più di qualche caso, quel bambino aveva irrimediabilmente ragione.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

L'incontro fra Draghi e Zuckerberg

L'incontro fra Draghi e Zuckerberg
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Avrei pagato il biglietto per assistere all'incontro di questa mattina a palazzo Chigi fra Mark Zuckerberg e Mario Draghi. Da una parte l’uomo che ha portato sui social alcuni miliardi di abitanti del pianeta Terra; e dall’altra l’unico leader politico ad essere rimasto fuori da questo circo. Zero follower: Mario Draghi in rete non è seguito e non segue nessuno semplicemente perché non ha nemmeno un profilo sulle piattaforme di Mark Zuckerberg, Facebook e Instagram. E non perché non sappia sappia usarle, ma perché ne conosce i rischi, evidenziati qualche giorno fa dall’ex presidente americano Barack Obama: sono uno specchio deforme della realtà, che è già abbastanza complicata senza bisogno di essere deformata. 

 

Lavorando di fantasia si può immaginare il dialogo. “Mister Zuckerberg, I suppose” potrebbe aver detto nel suo perfetto inglese il premier, citando il giornalista americano che aveva rintracciato in Tanzania un famoso esploratore di cui si erano perse le tracce. E l’altro potrebbe aver detto levandosi gli occhiali da 007 fatti un anno fa con Luxottica: “Il mio nome è Zuckerberg, Mark Zuckerberg”. 

 

E dopo i convenevoli che si saranno detti? Una cosa è certa: il re dei social non ha neanche provato a convincere il premier a ripensarci. Nella scarna nota diramata dal suo  team al termine dell’incontro si dice che hanno parlato del metaverso, delle grandi opportunità per l’Italia di questa nuova dimensione del digitale di cui si parla incessantemente da quando proprio Zuckerberg ha deciso di rinominare il suo gruppo Meta perché quello è il nostro destino, dice: in una realtà virtuale. 

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Alleati visibili e voci che girano

 
Giorgia e Damiano alla Camera per la presentazione della proposta di legge sulla vulvodinia

Giorgia e Damiano alla Camera per la presentazione della proposta di legge sulla vulvodinia

Ascoltavo una clip in cuffia, guidando, quando è finita ne è partita automaticamente un'altra in cui un giovane uomo, la cui voce non ho riconosciuto, diceva – sintetizzo, a memoria: “Sono venuto qui in veste di alleato, per aiutare con la mia visibilità il grande lavoro di queste ragazze. Speriamo che la politica faccia il suo lavoro. Adesso vorrei che vi concentraste su queste donne”. Incuriosita dal lessico – bella la parola alleato, chi è costui, assai “visibile”? – mi sono fermata a guardare il video.

Era il frontman dei Maneskin, Damiano, in giacca e cravatta, andato ad accompagnare la fidanzata alla Camera. Giorgia Soleri insieme ad un gruppo di attiviste sta difatti promuovendo una proposta di legge perché la vulvodinia, una malattia che colpisce una donna su sette e che viene diagnosticata con grande difficoltà (scambiata per una psicopatologia, si sa che le donne le malattie ce le hanno nella testa) sia inserita nei livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario nazionale.

Che il compagno fosse lì nella funzione di evidenziatore, giusto per sottolineare le parole di lei e mettere a disposizione la sua popolarità, mi è sembrato un gesto semplice e bello, da imitare – per chi può. Mi è anche tornato in mente che mesi fa avevo letto una strana opaca cronaca che diceva qualcosa come “le uscite di lei danneggiano la popolarità del gruppo a livello internazionale, non sono apprezzate dalle case discografiche”. “Gira voce”, concludeva l’articolo, che per questo la coppia sia in crisi. “Le uscite” erano appunto questa sacrosanta battaglia. Ecco, vedete. Mai fidarsi di chi dice: gira voce. La voce, di solito, la fa girare chi la gira dicendo che girava già. Brutta gente.

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L’uomo che spacca

L’uomo che spacca
(afp)
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La prima cosa bella di venerdì 6 maggio 2022 è l'uomo che spacca le partite, entra e cambia la scena. Come fa Rodrygo nel Real Madrid. Uno si chiede: perché non gioca dall'inizio? È la sua maledizione. L'uomo che spacca le partite è come l'amante che rovina (o no) le famiglie. È il sogno di una notte a Volterra, di un weekend sul lago Maggiore: nel breve termine accende la fantasia, fa balenare o edifica mondi che sono però castelli di sabbia.

Per misteriose ragioni, forse ataviche, riferite a un'eredità delle specie, l'allenatore o l'altro della storia lo sa: nell'arco dei novanta minuti o in quello di trent'anni non funzionerebbe, non sarebbe la stessa cosa. Anche la rinuncia è un atto d'amore. C'è chi diventa un uomo che spacca le partite in tarda età (come Altafini) e c'è chi parte così (Rodrygo, appunto) e si cuce addosso il sospetto che altro mai sarà.

Dovrebbero probabilmente essere impiegati in questo modo anche Chiesa e Lautaro e non sarebbe una retrocessione. Ci sono uomini per la strada e altri che restano a Volterra. La malinconia della stagionalità è ripagata dall'eternità del ricordo. Chi dimenticherà l'exploit di Rodrygo? Quante persone passano per Volterra pensando che quella notte sia stata la loro luna di miele?   

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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo) 

«Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» Gv 6,52-59.

 

Piacciono di più le guarigioni miracolose con l’imposizione delle mani. Tuttavia, il Signore critica questo desiderio di miracoli spettacolari. Non è da questi che viene la salvezza, ma “colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna”... che fa quasi coppia con il "fare la sua volontà".

 

(Prego)

Dio onnipotente,
che ci hai fatto conoscere la grazia della risurrezione del Signore,
donaci di rinascere a vita nuova
per la forza del tuo Spirito di amore.

 

(Agisco)

Non lasciare una domenica senza il dono dell'Eucaristia.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Complessità e educazione

 
 
 

Il contributo di Demetrio Ria

Si potrebbe dire in generale che quando le discipline, ognuna secondo il proprio grado di sviluppo e all’interno delle diverse e specifiche tensioni cognitive, hanno incorporato  nel loro plafond  quasi come lievito-madre l’idea di complessità, sono pervenute a  sostanziali  ‘cambiamenti qualitativi discontinui’, come li chiamava nei primi anni del secolo scorso il matematico ed epistemologo Federigo Enriques che già vedeva gli eventi scientifici del suo tempo, dalle matematiche alle scienze biologiche e psicologiche,  come espressione di ‘una complessità infinita, effetto della solidarietà universale tra tutti i fenomeni’. Quando poi sia pure più tardivamente è entrata nel corredo concettuale delle discipline umanistiche, non solo ne ha cambiato a volte in profondità il volto, ma ha contribuito quasi come un ‘a priori dello spirito’, per usare l’espressione di Hélène Metzger (Hélène Metzger: la complessità come rimedio razionale, 20 agosto 2020 e in Briciole di complessità. Tra la rugosità del reale, Ed. Studium, Roma 2022), a liberarle dai processi di autoreferenzialità e nello stesso tempo a  renderle più autonome dai saperi entro cui avevano già trovato uno spazio, come la filosofia prima e la psicologia dopo; ed è ciò che è successo all’identità del sapere pedagogico che, forte dell’ancoraggio all’idea di complessità, ha fatto del necessario dialogo con altre discipline una risorsa insieme cognitiva ed esistenziale col fare tesoro anche delle recenti ed importanti acquisizioni apportate dalle neuroscienze e dei risultati conseguiti nel campo dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie digitali.

Si è distinto, tra gli altri, in tal senso il gruppo di lavoro in Pedagogia sperimentale dell’Università del Salento che sta facendo tesoro a vari livelli dell’epistemologia della complessità considerata una vera e propria risorsa  con l’allargare lo sguardo a questioni sociali ed incentrate sul ruolo determinante che possono avere le comunità nei processi educativi, come nel volume del 2019 La comunità come risorsa. Epistemologia, metodologia e fenomenologia dell’intervento di comunità, a cura di Salvatore Colazzo e Ada Manfreda. Tale approccio è ritenuto un percorso indispensabile per le discipline pedagogiche per  liberarsi da approcci riduzionistici, per irrobustire il proprio apparato epistemologico coll’interrogare  più autonomamente  quel costante processo di ‘negoziazione di significati’,  elaborati da ogni essere umano,  ‘in modalità quasi frattalica – dal momento della sua costituzione come bios alla dimensione di uomo-mondo’; ed è questo il progetto di fondo che anima la collana ebook ‘Sapere pedagogico e Pratiche educative’, sorta in questi ultimi anni e giunta al suo settimo volume grazie a questo gruppo di ricerca che sta riservando una  non comune attenzione critica alla dimensione epistemologica innescata  dai processi educativi, come si evince in particolar modo dal robusto lavoro di Demetrio Ria, Logica della spiegazione pedagogica. La ricerca educativa da un punto di vista costruttivista(Lecce-Brescia, Pensa Multimedia, 2020). In tale lavoro è ben evidente, anche grazie ad una profonda analisi dei numerosi dibattiti avvenuti sulla Evidence Based Education, lo spirito ‘costruttivista del paradigma della complessità’ che  là dove è penetrato ha permesso di ridefinire su nuove basi temi, problemi e funzioni dei processi educativi.

Sulla scia di questo volume si pone in particolar modo il quinto volume della collana ‘Sapere pedagogico e Pratiche educative’ dal significativo titolo Scuola, lavoro e complessità sociale. Processi educativi per una cittadinanza attiva (5, 2020), a cura di Valentina Domenici, Demetrio Ria e Massimiliano Smeriglio; in tale opera collettiva risalta in modo evidente come i diversi contributori abbiano metabolizzato nelle varie pieghe il pensiero complesso anche sotto la spinta delle importanti riflessioni  sul ruolo dell’insegnamento avanzate da Edgar Morin che ha sempre sostenuto  la necessità di accompagnare ogni azione e pratica educativa con un indispensabile supporto epistemologico, idea tra l’altro presente con diverse modalità in figure come Federigo Enriques e Gaston Bachelard. Lo stesso  Demetrio Ria  delinea “la cornice teorico-metodologica” del volume con lo sviluppare anche alcune idee di  D. Byrne e di M. Mitchell, in quanto ritiene necessario lavorare a ‘tradurre’ nell’ambito  dello studio dei fenomeni sociali ed in particolare dei fenomeni educativi le idee portanti della complessità,  una volta preso atto che in un mondo sempre più globalizzato essi sono tutti interdipendenti coll’innescare processi di interazione a più livelli. Così tutti i cruciali problemi  della contemporaneità  hanno logiche intrinseche  che vanno al di là della semplice somma delle parti e ragioni che pure li costituiscono; e solo l’approccio formale della teoria della complessità col suo corpus di conoscenze ad incrocio è ritenuto da Ria più in grado di capire meglio le varie “forme di ordine che emergono dalle relazioni tra i loro componenti”, dove le stesse relazioni per loro natura sono non lineari e come tali devono essere studiate “in maniera olistica” per coglierne il più giusto senso per non cadere vittime dei semplicismi metodologici che poi innescano inevitabilmente semplicismi di natura ontologica anticamera, come avvertivano già lucidamente Simone Weil ed Hélène Metzger negli anni ’30 del secolo scorso, di posizioni ideologiche di stampo totalitario.

Grazie a questa non comune analisi del concetto  di emersione ritenuto strategico e difficile nello stesso tempo per darne una univoca interpretazione, per Ria ci si può avvicinare  anche ai problemi educativi, problemi complessi per l’intreccio di problematiche che  ruotano ad essi, tale da arrivare ad affermare che “la complessità è ontologicamente reale, un modo in cui operano determinati sistemi che esiste indipendentemente da noi e dalle nostre rappresentazioni di esso”.  E se in campo più propriamente filosofico ci sono state quelle che vengono definite delle “ondate iniziali di complessità” ravvisabili in più figure del primo e secondo Novecento (vedi Briciole di complessità), è arrivato l’ora per farla entrare a pieno titolo nel variegato universo pedagogico per eliminare, anche in questo settore come altrove, ondate di riduzionismo sempre in agguato se tale operazione  non è coadiuvata da un proficuo percorso epistemologico che si prenda in carico col vagliarne criticamente, senza mentire su di esso a dirla con Simone Weil, la portata, le proprie specificità e limiti; e tale ottica è presente nello stesso contributo di Ria dal significativo titolo  Entropia, negentropia e complessità. Tra scuola esocietà, rivolto a capire come i sistemi, in questo caso i sistemi educativi, “dirigono e gestiscono le condizioni della propria trasformazione” nell’interazione con le ragioni di altre comunità.

L’approccio costruttivistico implicito nel paradigma della complessità, ben delineato nel suo aspetto formale e applicato ai sistemi scolastici,  ne permette a Ria di “amplificare le contraddizioni ai limiti di soglia” con lo sviluppare dei modelli di analisi con la possibilità di ricostruire “un insieme di attributi di sistemi tipici, ideali per superare l’eccessivo localismo”; la costruzione di un “sistema astratto o panoramica generale di un tipo ideale”, frutto dell’assemblaggio di più fonti di dati, deve essere poi confrontato con altri tipi  teorici  e questo è la garanzia del loro essere dei sistemi aperti, insieme con la necessità di “costruire modelli teorico-interpretativi continuamente aggiornati”. Tale approccio epistemico, che deve anche porsi il problema del rapporto tra “complessità e tempo” con  “i diversi rami della stessa complessità”, permette poi di prendere in  considerazione,  nell’ambito dei sistemi educativi e scolastici, un altro problema di non poco conto e cioè “il fatto che ciò viene tralasciato interagisce col resto del sistema in modo non lineare” senza poter avere la possibilità di prevedere e valutare “gli effetti della nostra riduzione della complessità”. E tale reale esito o bagno di umiltà gnoseologica che ci dà il sano pensiero complesso, che è stato così ben metabolizzato, non va messo da parte o demonizzato, ma   interpretato nel suo giusto spessore epistemico deve diventare come una vera e propria risorsa cognitiva ed esistenziale in ogni campo compreso quello educativo.

Così concetti e principi del pensiero complesso come interazione, emersione, relazione, non linearità con le loro poste in gioco sia di carattere metodologico che ontologico, su cui Demetrio Ria ha condotto la sua indagine nei suoi diversi lavori per darci una diversa immagine dei processi educativi e per  rispondere alle nuove ed inedite sfide che ci attendono, acquistano una dimensione più concreta ed operativa, quasi una ‘carnalità’ nel senso di Simone Weil ben espresso nei Cahiers, dove il pensiero è sempre in funzione della vita; nel fare parte integrante del nostro vissuto col richiedere dei sacrifici teorici ed esistenziali insieme, acquistano una dimensione sempre più veritativa grazie alla riflessione filosofica che, se vuole avere un ruolo non secondario nel pensiero odierno, deve proporre in modo costruttivo quelli che Hélène Metzger chiamava ‘rimedi razionali’ contro ogni tipo di riduzionismo e di assolutismo a partire dall’idea di onniscienza nel senso avanzato da Mauro Ceruti. E il variegato universo pedagogico ci offre una sua specifica via verso la complessità, come quella delineata da Demetrio Ria via che si potrebbe anche chiamare ‘frattalica’ dato che si viene a costituirsi nella stessa forma su scale diverse, in quanto il suo oggetto specifico di indagine è la formazione nelle diverse fasi con la costruzione del sé, col vivere più di altri saperi questa condizione tipicamente umana fatta di ondate di alti e bassi, di verità ed errori.


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