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Travaglio e lavoro

 
 
 

Tra 1 maggio e festa della mamma

Il termine ci riporta immediatamente al parto, o meglio alla sua preparazione. Un momento particolare, intenso, emozionante, doloroso: non è un caso che il termine derivi dal tripalium medievale, noto strumento di tortura. Ciò che fa pensare è l’incidente linguistico per cui la parola è passata a designare il “lavoro”: dal siciliano travagghiare al francese travailler, dal traballu dei sardi al trabajo spagnolo e al trabalho portoghese, in una certa area geografica il concetto di “essere in travaglio” si è sovrapposta all’idea di “lavorare”, in una commistione di sofferenza e squilibrio, in cui non si sa se si traballa perché si soffre o se si soffre perché si traballa.

Strano? Forse non troppo, soprattutto di questi tempi. Si muore ancora per il lavoro, o per la sua assenza. Si soffrono ingiustizie, lentezze, contraddizioni. Si accusa burnout, ci si licenzia, si cercano ininterrottamente nuove opportunità, si brama riposo e nel riposo si controllano le e-mail, perché “non si sa mai”. Si ha paura di una gravidanza, fino al punto che la sua comunicazione in sede lavorativa o di colloquio diventa una “confessione”: per la serie «mi perdoni, padre, perché ho peccato», oppure «giuro di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, vostro onore». Per non parlare del fatto che per molti, ancora, partorire è l’unico lavoro di una donna, l’unico compito, l’unico scopo, il suo ruolo sociale.

Un’ansia infinita, che a poco più di una settimana dalla Festa del Lavoro fa riflettere e che, soprattutto, con il travaglio del parto non ha poi così tanto in comune. Perché in un travaglio quello che conta non è il dolore, per quanto intenso e inevitabile. Quello che conta e quello che salva è la fede nella vita, la speranza di farcela, il presagio del futuro, in un ritmo di impegno, spinte, respiri e pause. Se c’è una cosa che il travaglio insegna, non solo alle partorienti, è anzitutto questa: nessuno e nessuna è chiamato o chiamata a una sofferenza cieca, fine a se stessa. “Travaglio”, del resto, è connesso anche al “tribulum”, la trebbiatrice, strumento di raccolta in cui il dolore dello strappo, della separazione, della consapevolezza dell’ora di cambiare, è il preludio di qualcosa di nuovo, trasformato, buono, genuino.

La vicinanza sul calendario del 1° maggio e della “festa della mamma” impone di far pace con le parole e di congedare il dolorismo e le facili immolazioni dalle nostre culture, dai nostri linguaggi, dalle nostre mentalità. Soprattutto, chiede di convertire ogni retorica socio-politica e ogni sdolcinatura uterina in una seria consapevolezza dei labirinti del mondo lavorativo e della complessità della maternità, entrambi parte di un macrocosmo turbolento, in cui i buchi neri sembrano per ora avere la meglio sulle stelle danzanti.

L’augurio è quello di riscoprire la fede nel futuro e, in qualunque travaglio ci si trovi, di ritrovarsi a tenere tra le braccia i sogni più veri, piangenti, fragili e potenti come un neonato.

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Interviste, ministri e il mio idraulico

 
Il presidente del Consiglio Mario Draghi durante l'intervista concessa al Tg1 il 17 agosto 2021

Il presidente del Consiglio Mario Draghi durante l'intervista concessa al Tg1 il 17 agosto 2021

Censura, libera stampa e altre piccole cose. Pensavo, in margine al dibattito sui talk show e su chi sia giusto ospitare e chi no, che nella nostra avanzatissima democrazia, liberale e aperta al contraddittorio, ci sono esponenti di governo che hanno scelto di non sottoporsi mai a interviste pubbliche televisive. Lo stesso presidente Draghi, che ha definito “un comizio” l’intervista di Lavrov, da quando ha assunto l’incarico ha accettato se non sbaglio una sola volta di rispondere alle domande di un giornalista del Tg1.

Le conferenze stampa hanno diversa natura e funzione. Parlo, qui, di una conversazione in cui l’intervistato risponde alle domande dell’intervistatore, possibilmente non conoscendole prima e non avendo la possibilità di far tagli o montaggi, dopo: come avviene, appunto, in un libero confronto. Altri ministri – Economia, Interni, Giustizia tra gli altri– non ricordo di averli visti né sentiti mai. Diversa è una conversazione per la carta stampata la quale, appunto, si può fare per scritto, o rileggere e correggere. In tv contano la prossemica, le esitazioni, i tempi di risposta, le espressioni del viso: è rilevante (e diverso dal leggere) vedere una persona mentre parla. Non farlo è una scelta. Può dipendere da diversi fattori.

Una disistima radicale e generalizzata per la categoria dei giornalisti, per esempio. Tutti inadeguati. O poco tempo e molte cose più importanti da fare. Però anche il mio idraulico, penso, ha molto da fare e non grande stima delle mie competenze nella sua materia, ma se gli chiedo cosa sta facendo porta pazienza e risponde. Perché lo pago, direte. Certo. Ma anche i ministri li pago e per giunta, diversamente dall’idraulico, mi rappresentano.

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L’organo

L’organo
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La prima cosa bella di mercoledì 4 maggio 2022 è la notte di un giorno di festa, in quella cattedrale vuota che è un ospedale silente, aspettando il miracolo laico: l’arrivo di un organo. Neppure quello strepitoso romanzo che è Riparare i viventi di Maylis De Kerangal aveva raccontato il protagonista di questa cerimonia della vita, perché di questo si tratta. I medici, con i loro gesti studiati e ripetuti, sempre precisi e immutabili; il paziente con la sua fede in una forma di resurrezione; il sacrificato, già lontano, assurto a una dimensione per noi inconcepibile; i parenti dell’uno e dell’altro, collegati dal pudore di sperare e la volontà di immaginare; i trasportatori, attenti e concentrati su un percorso che non ammette incidenti, non più. Ma al centro di tutto, dentro un contenitore freddo, in attesa di un corpo caldo, resta l’organo. Ci attribuiamo l’istinto di sopravvivenza come connotato di base e pensiamo risieda nel cervello: sia quello a dare l’input a tutto il resto per fare la scelta che, in casi estremi, ci tenga vivi. In realtà, qualunque parte di noi è pronta a lottare per sopravvivere e, questa è la cosa fondamentale, anche senza di noi. L’organo passa da un corpo all’altro, da una persona all’altra, sostituisce l’imminenza della fine con un nuovo inizio, si adagia sul suo predecessore come fosse un abbraccio sulla soglia, attende scollegamento e collegamento, poi ricomincia a battersi per la vita: quella di uno sconosciuto e la propria. Salva un essere umano per salvare sé stesso. E’ la trasmigrazione dei cuori, dei fegati, dei reni, sotto questo cielo scuro.   

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Difendi il buzzurro

 Difendi il buzzurro
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La prima cosa bella di lunedì 9 maggio 2022 è l’Elegia americana, o dei buzzurri. Il libro va letto o il film guardato, per capire che accade non solo in Ohio, ma  nel mondo. Non l’avevo mai fatto perché la trama della storia (e i volti del cast nella versione cinematografica) mi mettevano un po’ tristezza. Poi l’autore, J.D. Vance, ha vinto le primarie repubblicane in Ohio, a 37 anni, ponendosi al fianco e oltre Donald Trump. Elegia è la storia sua e della sua famiglia. Un pianeta ai margini: la nonna resta incinta a 13 anni e viene regolarmente picchiata dal nonno. La mamma è tossicodipendente e passa da una relazione all’altra. La sorella si consegna a 17 anni all’unico amore della sua vita. Vivono in case tristi e appena mettono piede fuori dallo Stato li chiamano buzzurri. Ma credono che il loro piccolo mondo custodisca un seme. Che una famiglia sbagliata sia più una famiglia che uno sbaglio. Che esista la fine dei giorni, ma anche la redenzione. E’ una speranza basta sulla mancanza di esperienza, sul sacrificio come istinto, sull’unicità di ogni destino. Non è il sogno americano, è la sua ruggine, ma ancora scrostabile. J.D. Vance diventa avvocato, scrittore, finanziere, ora politico. Domani forse vice o presidente. Ci sono state rincorse anche più lunghe (Obama), ma la domanda è un’altra: perché, lì come altrove, i buzzurri non hanno scelto chi aveva nel dna la difesa dei più deboli? Chi ha tradito se stesso?

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(Leggo)

«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» Gv 10,1-10.

 

Cristo parla del suo ruolo di pastore: non è venuto per essere servito, non è venuto per trattare le persone con arroganza; è venuto per salvare le sue pecorelle e, se è necessario, per morire per loro.

 

(Prego)

O Dio misericordioso, che non consideri profano tutto quello che hai purificato, Fa' che accogliamo i doni del tuo Spirito attraverso tutte le vie che predisponi nella tua provvidenza, senza alcuna chiusura o impedimento.

 

(Agisco)

A volte incontriamo i nostalgici dei tempi che furono: spendo una parola per evidenziare sia le criticità attuali, sia le ricchezze e le possibilità di oggi!

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GOAL EUROPEO

Di

 Rosa del Giudice

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Narrative care

Per utilizzare una metafora calcistica, il Centro di Orientamento Don Bosco ha centrato la porta con un goal importante e significativo vincendo, come Ente capofila, il bando relativo al Programma Erasmus Plus KA2 2021 con il progetto “Narrative Care”, che ha preso avvio ufficialmente il 7 aprile u.s.

NARRATIVE CARE è un percorso di ricerca‐formazione attraverso il metodo autobiografico: ricerca perché intende indagare e osservare ‐ attraverso storie professionali, dunque dentro la materialità del lavoro sociale, se e come le storie individuali vengono accolte, e in che modo concorrono a co‐costruire l’intervento socio-educativo; formazione perché, attraverso il lavoro di gruppo, si elabora un processo di co‐costruzione collettiva di significati.

L’utilizzo delle Metodologie Aubiografiche, come strumento di conoscenza di Sé e dell’Altro, si sviluppa all’interno di un contesto più ampio, quello di “MY LIFE in EUROPE: a new Methodology to insert Your Life IN the EUROPE contest”, di NKEY srl di Santa Croce sull’Arno(Pi), “sul valore terapeutico, sociale e culturale dell’autobiografia”(cit. dal sito mylifeineurope.nkey.it ).

I destinatari del progetto sono gli operatori sociali di diverse professionalità ed aree di intervento, del pubblico e del privato, che nei loro impegni professionali e di volontariato privilegiano l’approccio pedagogico‐educativo.

Il gruppo in formazione può essere eterogeneo, in quanto formato da operatori singoli provenienti da diversi servizi/enti/organizzazioni, oppure può costituire un’unica équipe o più équipe di un medesimo organismo che desiderano utilizzare il laboratorio come formazione del personale.

Le organizzazioni partner – Centro Orientamento “Don Bosco”- Ente Capofila (Andria, Italia), Bit Association (Debrecen, Ungheria), Viva Femina (Rzeszow, Polonia) – sono tutte impegnate in attività di formazione ed educazione. In particolare l’Ente Capofila (Italia) utilizza da qualche tempo le metodologie autobiografiche. Le suddette organizzazioni partner si rivolgono a target per i quali il RACCONTO DI VITA riveste una valenza non solo educativa ma anche terapeutica. Le esperienze, che i tre partner realizzeranno, costituiranno un know how metodologico già testato e riconosciuto in ambienti sia accademici che di lavoro sociale.

Tutte le fasi del percorso e le rispettive attività hanno già previsto il confronto tra i referenti delle organizzazioni partner. In virtù della creazione di un Focus Group iniziale, essi hanno potuto condividere le conoscenze e le eventuali pregresse esperienze sulle Metodologie Autobiografiche, fulcro del progetto.

Dopo aver raccolto e verificato i dati emersi dallo scambio di idee/esperienze all’interno del focus group, il docente Savino Calabrese (Libera Università di Anghiari), figura esperta nel settore, si è confrontato con i responsabili esteri sulle fasi di formazione successiva rivolta agli operatori sociali sia in rapporto ai contenuti che alla creazione di un linguaggio comune.

A seguire, il training, (per alcuni, incontri a distanza, per altri, in presenza), registrerà il coinvolgimento attivo e fattivo di tutti gli operatori sociali, che agiscono nel contesto delle Associazioni di riferimento nei rispettivi Paesi, e costituirà, durante le diverse sessioni formative, una continua possibilità di interlocuzione da parte di tutti i partecipanti.

I meeting dei responsabili delle tre Associazioni si sono svolti durante il mese di aprile, mentre il training online per il gruppo degli operatori ungheresi/polacchi e, separatamente, per il gruppo degli operatori italiani inizierà  il 9 maggio e il 20 maggio p.v.

Gli incontri in presenza coincideranno con tre mobilità: due si svolgeranno in  Ungheria e Polonia; il terzo si identificherà con la partecipazione, a Bologna, all’evento conclusivo del megaprogetto europeo sull’Autobiografia portato avanti dall’Associazione NKEY di Santa Croce sull’Arno, in cui operano le dott.sse Carla Sabatini e Grazia Chiarini. Molto probabilmente l’azione di disseminazione dell’iter formativo sarà appannaggio di un incontro/dibattito conclusivo ad Andria, con la partecipazione della collettività cittadina.

Tra la prima e la seconda mobilità si incastra lo step del percorso che prevede l’applicazione concreta delle Metodologie Autobiografiche da parte degli operatori sociali nei confronti dei soggetti attenzionati; anche in questa fase è ineludibile la focalizzazione delle conclusioni che ciascun operatore elaborerà al termine dell’esperienza realizzata.

L’approdo dell’itinerario formativo si tradurrà nella produzione collettiva di un opuscolo/documento, nella doppia lingua, inglese/lingua nazionale, sulle buone prassi, le cui linee-guida saranno applicabili anche in contesti differenti.

Vale la pena citare chi ha fattivamente operato nell’elaborazione dell’idea progettuale che l’INDIRE ha valutato molto positivamente finanziandola: Marianna Porro, progettista; Rosa Del Giudice, presidente pro–tempore del Centro don Bosco e coprogettista; Savino Calabrese, formatore esperto in Metodologie Autobiografiche.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Stella al Merito per Vincenzo De Vita

Di

 Miky Di Corato

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L’ing. andriese Vincenzo De Vita ha ricevuto dal Presidente della Repubblica “La Stella al Merito del Lavoro”. Tra i 42 destinatari dell’onorificenza, infatti, il dott. De Vita si è contraddistinto per laboriosità e perizia in Leonardo (aerospazio-difesa).

Salve, dott. De Vita. Quanto orgoglio le ha suscitato l’essere insignito dalla Presidenza della Repubblica con “La Stella al Merito del Lavoro”?

Mi ha onorato, poiché è stata riconosciuta la mia carriera lavorativa per risultati, dedizione e condotta morale. Mi ha dato ancora una volta l’orgoglio di aver lavorato per una grande azienda e, attraverso questa, di aver reso un servizio anche alla nostra Italia

Come giudica la sua esperienza in LEONARDO, avanguardia mondiale in campo aerospaziale?

È stata una esperienza di trentacinque anni molto gratificante. Da quando sono stato assunto non mi sono mai risparmiato e ho colto le opportunità di lavorare in contesti internazionali. Ho passato moltissimo tempo lontano dalla famiglia, ma sapevo di fare la cosa giusta per me e per loro. Ho avuto vari riconoscimenti anche dai partner esteri come la Boeing (dove sono stato diversi anni, per conto della mia azienda); inoltre ho ricevuto premi nazionali a fronte di svariati brevetti industriali. Ora sono in pensione da inizio anno, essendomi ritirato per seri problemi di salute

È possibile conciliare stacanovismo, ambizione e condotta morale?

Non solo è possibile, ma credo sia anche necessario. È un segnale che si dà ai colleghi, ai collaboratori e soprattutto ai giovani. Ovviamente questo funziona solo se le attività lavorative sono di interesse, altrimenti lo stacanovismo è solo sofferenza

A chi dedica questo prestigioso riconoscimento?

Alla mia famiglia, per quanto ho detto in precedenza. E poi a me stesso…..

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Olaf Scholz e il cambiamento…

Di

 La smorfia

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IL CANCELLIERE TEDESCO OLAF SCHOLZ: «IL MONDO DOPO QUESTA GUERRA E QUESTO ATTACCO NON SARÀ PIÙ LO STESSO DI PRIMA. GIÀ NON LO È PIÙ».

CIOÈ STAREMO ANCORA DI PIÙ NELLA

M E . . A???

(INSERIRE LETTERE MANCANTI,

DUE OPZIONI: L M – R D)

_ pallino umano _


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donmichelangelotondo più di un mese fa

Io e gli influencer preferiti di mio figlio

di Riccardo Luna
 

Io e gli influencer preferiti di mio figlio

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Ogni settimana esce una nuova indagine che certifica a che età i nostri figli hanno in mano un telefonino. Sempre prima. Alle elementari. In realtà non servirebbero neanche le indagini, basta guardarsi attorno. Un bambino su due ha il suo smartphone.

 

Le indagini però servono a capire le motivazioni: perché noi genitori cediamo sempre prima? La risposta in questo caso aiuta: perchè così possiamo chiamarli sempre, perché così ci possono chiamare sempre. Il che però non è vero: se lo scopo fosse soltanto la reperibilità telefonica basterebbe dar loro un vecchio telefonino, di quelli che, appunto, fanno solo telefonate (ce ne sono di ottimi per venti euro). E invece diamo loro uno smartphone che come è noto non è un telefonino intelligente ma una porta di accesso al web e ai social: è come se esponessimo i nostri figli ancora piccoli al mondo esterno. Per tutelarli ci sono diversi strumenti, che ne limitano la navigazione.

 

Epperò anche quando funzionano, e quindi gli sono preclusi contenuti pericolosi o inopportuni, accade lo stesso che dei bambini, o dei ragazzini, abbiano accesso ad una quantità di informazioni pressoché infinita. Io per esempio da un po’ con mio figlio di 12 anni sono in concorrenza con i suoi influencer preferiti che gli dicono tra le altre cose, cosa mangiare per stare in forma, come allenarsi, e anche a quale temperatura fare le doccia (gelata, boh). E’ una sfida impari: l’influencer è influente, dice le cose bene, con dei video carini, è molto credibile. Ma è una partita che non si può rinunciare a giocare. Non vietando, che ha poco senso, ma parlando. Ragionando con loro. Quando avevo l’età di mio figlio, al massimo avevo a disposizione un giornaletto a fumetti per informarmi. Lui ha il mondo. Se gli stiamo accanto, a questi ragazzini, un giorno potranno fare cose meravigliose.  

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