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donmichelangelotondo più di un mese fa

I veterani e i neofiti

 
Una scena della Tempesta di Shakespeare nell'allestimento di Alessandro Serra

Una scena della Tempesta di Shakespeare nell'allestimento di Alessandro Serra

Mi sono trovata per due giorni di seguito, con il consueto senso di estraneità che mi accompagna ovunque, ad ascoltare i commenti di critici titolati a spettacolo finito. Uno era un film, l’altro un’opera teatrale. In entrambi i casi i commenti erano sprezzanti, annoiati, talvolta feroci e spesso virati sulla vita personale degli autori. Nulla da dire sui gusti, magari sui modi.

Del film racconterò più avanti, quando sarà uscito a Cannes. L’opera teatrale era la Tempesta di Shakespeare nell’allestimento di Alessandro Serra e si diceva – dicevano – che è “troppo pop”, “fuori fuoco”, “non all’altezza” del suo celebre lavoro precedente, Macbettu, il Macbeth recitato in sardo da soli uomini che ha fatto il giro del mondo. Vorrei però lasciare da parte il giudizio degli esperti titolati e, voltando le spalle al palcoscenico, dirvi del pubblico. Forse perché era pomeriggio la platea era stracolma di ragazzi, credo sollecitati dalle scuole, di bambini con le nonne, di gruppi di rumorose amiche di mezza età con evidenza non frequentatrici abituali.

La platea costituiva uno spettacolo in sé: applaudiva quando di solito non accade (un oggetto di scena che cala dall’alto: applauso all’oggetto) rideva alle parole oscure di Calibano, un’adolescente seduta dietro di me quando Prospero ha detto “siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni” ha commentato “che figata, questa me la tatuo”. Un pubblico meraviglioso. Mi è tornato in mente quel che mi disse una volta un minatore del Sulcis: si sbaglia, in miniera, per troppa esperienza o per poca. Cadono i veterani e i neofiti. Questi ultimi però hanno tutto il tempo per imparare e la curiosità della scoperta: li preferisco, come compagni.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Sarebbe da ridire, se non fosse da piangere…

 
 
 

Erdogan: «No a Finlandia e Svezia nella Nato: ospitano terroristi del PKK».

E pensare che pure Garibaldi per l’Impero Austro-Ungarico era un terrorista…

Mosca: «Ad ora è impossibile un incontro Putin-Zelensky».

Sono troppo impegnati a bombardarsi…

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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo)

«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,9-17).

 

Quasi sempre finiamo col fare l'unico lavoro che abbiamo trovato e di amare l'unica persona che ha voluto stare con noi... Ed ecco la buona notizia: come Mattia, Dio ci tira in ballo quando meno ce lo aspettiamo. Se abbiamo passato la nostra vita su una panchina al bordo del campo di gioco, se abbiamo visto tanti altri passarci davanti e giocare, ciò non significa che siamo perdenti o incapaci. Forse agli occhi del mondo, ma non agli occhi di Dio che ci valorizza e ci fa giocare la partita della salvezza. Animo, allora, e pronti a entrare in campo!

 

(Prego)

Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro. Pastore eterno, tu non abbandoni il tuo gregge, ma lo custodisci e  proteggi sempre per mezzo dei santi apostoli, e lo conduci attraverso i tempi sotto la guida di coloro che tu stesso hai eletto vicari del tuo Figlio e hai costituito pastori.

 

(Agisco)

Affiancare educatori, genitori, sacerdoti nel difficile a al contempo bel compito dell'educazione e dell'evangelizzazione.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Puglia sempre

 
 
 

Un’offerta turistica da valorizzare 12 mesi all’anno.

Destagionalizzare l’offerta turistica: è la sfida che attende un territorio ricco e diversificato come la Puglia. Una sfida che si può vincere.

Si sa, l’estate è la stagione principe del turismo nostrano. Da qualche anno, anche la primavera, in particolare la tarda primavera, sta vedendo aumentare le presenze turistiche e un’analoga osservazione si potrebbe fare per le primissime settimane d’autunno.

Resta però un arco di 5-6 mesi, da ottobre a marzo, che rappresentano una vero potenziale, in gran parte non valorizzato, per rilanciare l’economia della nostra Regione.

Negli anni passati, progetti ambiziosi come “Discovering Puglia, tra vie e cammini”, messi a punto dall’assessorato regionale al turismo, miravano senz’altro nella direzione giusta, ma rischiano di restare come “rara avis” o, se preferite, come “mosche bianche”.

Il turismo pugliese negli ultimi 15 anni ha decisamente cambiato passo, eppure, perché esploda 12 mesi all’anno, occorre fare sistema ed è necessario, innanzi tutto, un cambio di mentalità, a cominciare dagli operatori del settore.

È vero che “l’erba del vicino è sempre più verde”, ma chissà quanti altri territori invidierebbero una Regione che può vantare le bellezze artistiche e naturalistiche, il patrimonio storico, archeologico ed enogastronomico della nostra terra: dal Gargano alla Daunia, dalla Puglia Imperiale alla Terra di Bari, dalla Valle d’Itria alla Magna Grecia, dall’Alta e Bassa Murgia alla nostra lunghissima e variegata costa, dalle Gravine a Santa Maria di Leuca, lungo le vie Appia, Traiana, Micaelica, Francigena, i Tratturi della transumanza, la Via Leucadense e chi più ne ha più ne metta.

Quando il sistema Puglia imparerà a viaggiare h24, ci vorrà un anno di 24 mesi per conoscere e far conoscere i tesori di una delle Regioni più belle d’Italia.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Perché Musk si ferma (per ora) su Twitter

Perché Musk si ferma (per ora) su Twitter
(reuters)
L'accordo per l'acquisizione del social è stato temporaneamente sospeso. Si attende una verifica del numero di utenti falsi
 
1 minuti di lettura
 

La notizia del giorno è che Elon Musk si ferma per Twitter. L’affare da 44 miliardi di dollari non è ancora saltato, ma prima di pagare il dovuto Musk vuole capire se davvero i profili fasulli rappresentano meno del 5 per cento del totale dei quasi 400 milioni di utenti, come si sostiene nei documenti ufficiali. E se fossero il 6 o il 7 per cento? Di cosa stiamo parlando esattamente? La grande operazione per ristabilire le libertà di espressione e salvare le democrazie, così l’ha presentata Musk, può saltare per un milione di profili fasulli in più?

 

No, ma il prezzo può cambiare di molto. Del resto il valore di Twitter, da quando Musk ha presentato la prima offerta, un mese fa, è cambiato molto. Seguendo quello che sta capitando in borsa ad altri titoli tecnologici anche il titolo di Twitter è in discesa e le previsioni per i mercati non sono buone. Musk insomma, quando l’affare sarà concluso, fra circa sei mesi, rischia alla fine di pagare Twitter molto di più del suo valore. Al tempo stesso anche il titolo di Tesla è in discesa da un mese, anzi, in discesa libera.

 

Cosa c’entra? C’entra: una parte consistente del patrimonio di Musk è fatto di azioni Tesla che quindi valgono meno. Tradotto: rispetto ad un mese fa quando l’affare sembrava fatto, Musk ha meno soldi e Twitter vale di meno. E’ quindi lui prova a trattare sul prezzo. Fa come farebbe qualcuno che ha proposto di comprare una casa tre mesi fa, prima della guerra, con i tassi bassissimi, e adesso si ritrova con un mutuo molto più alto: cerca ogni appiglio per rinegoziare. Può saltare tutto? Può saltare, pagando un miliardo di dollari di penale, le due parti possono tornare indietro; ma in quel caso chi rischia di saltare è proprio Twitter. Una azienda terremotata, sedotta e abbandonata, in un mercato che cala farebbe davvero fatica ad andare avanti. Per questo un accordo con un prezzo diverso è possibile. La saga continua. 

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Il campo del cambiamento

 
Mario ha fornito di sé questa immagine completamente decontestualizzata

Mario ha fornito di sé questa immagine completamente decontestualizzata

Mario Cantore, 23 anni, all'Università di Torino studia Sociologia e Ricerca Sociale

Negli ultimi anni sentiamo costantemente di cambiamenti che avvengono nella società e influenzano il nostro stile di vita; il Covid 19 è l’esempio più vicino, da quest’ultimo passiamo a tre macro trasformazioni che sono in corso: il cambiamento climatico, il cambiamento tecnologico e l’uguaglianza di genere. Quello che da qualche mese mi chiedo è come un Paese riesca a far mutare comportamenti tradizionali e culturali insediati nella nostra società. L’ambiente politico è ai vertici di questo potere decisionale e la scuola è il campo di azione. È possibile inserire dentro le scuole attività didattiche che trattano i cambiamenti citati sopra? Inoltre, è possibile inserire ciò adottando approcci di insegnamento diversi dalla normale lezione frontale che da anni gli studenti sono abituati a vedere, guardando anche aspetti più psicologici?

Da queste due domande nascono due questioni; la prima è la necessità di studiare i cambiamenti che sono in atto e in seguito inserirli dentro il sistema scolastico, la politica per questo punto è centrale. Prendendo in esame i tre mutamenti citati sopra, è possibile notare come ognuno al proprio interno comporti la necessità di uno studio a 360 gradi, provo a spiegarmi meglio. Il cambiamento tecnologico, prende in esame sia un aspetto informatico ma in contemporanea anche un aspetto comunicativo e psicologico. Ogni singolo campo, nello studio e nell’analisi, ha il bisogno di più figure esperte in diverse discipline.

La seconda questione prende in considerazione il metodo, quale tecnica migliore e moderna è più opportuna per trasmettere informazioni ai ragazzi. Si prendono in esame due temi: l’istruzione e l’educazione.  Una didattica circolare, sia sotto il punto di vista della comunicazione, ad esempio creando più dibattito all’interno delle aule, sia sotto un punto di vista dello spazio fisico, ad esempio disponendo i banchi in cerchio, può aiutare alla creazione di un sistema scolastico che permette all’educazione e all’istruzione di lavorare assieme. Per praticare ciò occorre avere una buona capacità di ascolto.

Ecco, all’interno della scuola vi è la necessità di educare e di insegnare questioni che stanno inevitabilmente cambiando la nostra società, occorre adottare tecniche che permettano ad entrambi i ruoli, insegnanti e alunni, di esprimere la propria opinione e di essere ascoltati. Tra circa un anno noi cittadini andremo a votare, quello che mi aspetto dai partiti politici è la serietà e una visione lungimirante nell’affrontare il tema della scuola.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

La salvezza nel riordino

 
C'è chi per cercare di dare un centro alla propria esistenza pratica la meditazione profonda

C'è chi per cercare di dare un centro alla propria esistenza pratica la meditazione profonda

Un pensiero semplice che metto qui prima che mi abbandoni (i pensieri, come vengono, vanno). Sto da molti mesi frequentando varie comunità che danno senso alle esistenze di chi le frequenta. Un po’ per motivi di studio (oibò), un po’ per capire meglio il tempo presente ed eventualmente trovarci posto – anche nessuno – ho preso a guardare più da vicino e talvolta affacciarmi in quelle che per intenderci chiameremo tribù, le più strutturate e note si dicono sette, talvolta chiese, le più semplici sono ovunque attorno a noi: dalle chat di genitori o tifosi o colleghi, a chi si nutre solo di cose coltivate nel raggio di un chilometro, cammina veloce diecimila passi, fa scautismo adulto coi migranti, mangia in bianco, respira profondo un’ora al giorno, svuota la mente, fa vipassana, costellazioni familiari, yoga compulsivo, conosce le sostanze che ci inoculano coi vaccini, rivela la verità sul battaglione Azov.

Ebbene, sarà stata un’illuminazione dovuta all’ultima pratica ma ho “visto” il meccanismo che muove ogni appartenenza: la sequenza colpa-pentimento-espiazione-redenzione, l’architrave su cui è edificata la Chiesa cattolica. Ne ho parlato con Don Matteo, il mio parroco preferito. Gli ho chiesto: quindi, tu rinunci a conoscere te stesso in cambio di un rituale che ti identifica per appartenenza: tieni la tua vita nei cardini, sei nel giusto. Confessi e consegni ad altri i modi e i tempi della tua redenzione. Due anni, dieci, mai, vita eterna. Sì, ha risposto don Matteo. Considera però che consegnarsi al rito è un sacrificio ma anche un sollievo. Ti dà un posto, ti esime dal dubbio, ti salva dal pericolo. Un po’ come il riordino, ha sorriso. Diventi la tua disciplina, e tanto basta.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Carnefice e vittima

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Tribunale di Kiev, Ucraina. 13 maggio 2022. Foto di Viacheslav Ratynskyi - REUTERS
Tribunale di Kiev, Ucraina. 13 maggio 2022. Foto di Viacheslav Ratynskyi - REUTERS 

Dicono di Vadim che avrebbe ucciso un civile disarmato in bicicletta, nel villaggio di Chupakhivka, nella regione nordorientale di Sumy. Vadim è un sergente russo di ventuno anni. È il primo a essere processato in Ucraina per crimini di guerra. Non leggo niente nel suo sguardo - e non perché i suoi occhi non possano nascondere timore, o rimorso. Ma perché c’è qualcosa di troppo facile nel definire questo giovane braccato un carnefice. Lo è. Ma è anche vittima, della violenza che ha respirato e ha commesso, della violenza che alimenta sé stessa, in guerra, fino al parossismo e all’abiezione. Non è un alibi. È una constatazione.

 

Che cosa hai fatto, Vadim?

gli chiederanno.

 

Che cosa ti abbiamo fatto fare, Vadim?

dovremmo chiederci. 

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Scrivere perché non hai altra scelta

 
 
 

«Scrivo per lo stesso motivo per cui respiro – perché, se non lo facessi, morirei»

(Isaac Asimov)

Ho avuto una giornata piena, è ancora in corso, ma per ragioni di differente natura mi sono dovuta sedere davanti a questo aggeggio del demonio, che non ha alcun rispetto per il mio lato vintage.

Ecco che appare, per fortuito caso, una pagina che insegna cosa serve per essere uno scrittore: originalità, attenzione ai dettagli, tempo, spontaneità, solitudine, perseveranza.

Ora, fermo restando che chi scrive questo elenco lo fa in riferimento alla carriera di un grande, che è Haruki Murakami, mi domando: ma lo conosce? Proprio in qualità di uomo, intendo, ci ha mai mangiato insieme? Io no, naturalmente, e nonostante questo mi è venuto da ridere.

Passi per l’originalità, che però è descritta come cosa studiata a tavolino; l’attenzione ai dettagli, come se scrivere consentisse di essere superficiali; ma santo cielo… il tempo, la solitudine, la spontaneità e la perseveranza.

È una barzelletta?

Ma voglio ancora scremare: per spontaneità intende l’impossibilità di scrivere su commissione. Ci sta, ci sta tutto, lo capisco perfettamente, è esattamente così che funziona e per perseveranza fa riferimento alla capacità di affrontare anche le critiche, senza abbandonare la penna. Va bene, passi, sebbene potremmo anche riconoscere a uno scrittore la fragilità di ogni essere vivente.

Intendo: Giovanni Verga ha abbandonato per vent’anni la sua penna. Come mai non è finito nell’oblio?

E ora i pezzi da novanta però: tempo e solitudine.

A questo punto, io che ho la presunzione di riempire pagine senza nemmeno starci troppo a pensare e solo “per colpa” di chi proprio, in illo tempore, ha scelto di vietarmi di cestinare tutto, a quale categoria apparterrei?

Non ho nemmeno il tempo di ricordarmi come mi chiamo e quando me lo ricordo è solo perché il mio secondo nome anagrafico (Arsedea) scatena la curiosità di chiunque lo legga, la qual cosa mi costringe ogni volta a spiegare da dove viene, cosa vuol dire, perché non mi faccio chiamare con quello e blablabla; non riesco neppure a tenere sotto controllo un posto definitivo per le chiavi della mia auto, non so assolutamente cosa sia una tabella di marcia eppure ne rispetto una ogni giorno senza colpo ferire: come faccio a scrivere, se il tizio dell’elenco ha ragione?

E la solitudine? Vogliamo parlarne? Ogni mattina vedo un numero spropositato di persone che non sono esattamente incontri casuali, ma gli universi con cui batto e combatto per natura stessa del lavoro che faccio; in casa, peggio mi sento. Non ne faccio descrizioni, ma basti un dettaglio su tutti: il cane è capace di guardarmi anche mentre mi lavo i denti. E lui è, in assoluto, il meno ingombrante e più silente di tutti.

Dunque resto appesa con un boh, in teoria e con una risposta molto precisa, invece, in pratica.

Forse scrivere per commercio è tutte le cose sciorinate dall’elencatore abusivo; ma scrivere per la natura stessa dello scrivere, è altra cosa. Se sei originale non è che trovi un modo, se sei attento ai dettagli non è che lo decidi, se sei perseverante non è che lo scegli, se sei spontaneo non è che lo prevedi. Il tempo e la solitudine, non li compri. Né puoi rubarli.

Se ti ritrovi a scrivere, piuttosto, è solo perché non hai altra scelta, sei spalle al muro, c’è una forza esterna che ti guida, spinge, spesso divora. Non ne hai scopi diversi, se non quello dell’espressione: lanci le cose nel mondo, i tuoi pensieri, i tuoi personaggi, te stesso e non fai calcoli di nessun genere. Può andarti male, ma tu non lo stai nemmeno tenendo presente, perché non hai tornaconti su cui focalizzarti.

Temo che questo sia un concetto duro a morire.

Una persona a me cara un giorno disse: per scrivere ad alcuni serve studio, ad altri niente, perché la loro penna è un dono.

Dunque spero che Murakami, dal suo Giappone, non debba mai leggere ciò che ho letto io. Perché nel suo caso, sono certa, non parliamo di studio e non parliamo di elenchi: esiste il talento e quello è una cosa che va oltre ogni categoria. Ce l’hai o non ce l’hai. Punto.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Cccp, col cavolo che perdiamo

 
Una scena del film "Crazy for football" con Sergio Castellitto e Max Tortora

Una scena del film "Crazy for football" con Sergio Castellitto e Max Tortora

C’è una piccola storia che non capisco, ve la riassumo qui. A Roma esiste da vent’anni una società sportiva da sempre – come si dice – “impegnata nel sociale”. Collabora col Centro Astalli, Save the Children, il Centro per la Giustizia minorile. Nel 2018 il capo dei suoi allenatori, Enrico Zanchini, ha creato e allenato la nazionale di calcio delle persone con problemi di salute mentale vincendo il Campionato del Mondo. Da quella incredibile esperienza è stato tratto un film, “Crazy for football”, vincitore di un David di Donatello.

Enrico Zanchini era interpretato da Max Tortora. La Rai ne ha fatto una fiction. Oggi la società ha 230 tesserati, tredici squadre di bambini dai cinque anni a ragazzi di sedici. L’ultima pattuglia di un esercito di più di mille calciatori formati dalla fondazione. La società ha sede al Faro, in zona viale dei Colli Portuensi, in un’area di proprietà della Croce Rossa. Quale miglior connubio, verrebbe da dire. Invece no: la Croce Rossa vuole sfrattarla. Vuole riprendere possesso dell’area, anche se ancora non ha nessun progetto per l’uso di quel terreno: contesta il contratto di locazione. Il Municipio ha tentato una mediazione, riconoscendo l’importanza della società sportiva anche per il quartiere, ma non c’è stato niente da fare.

La Croce Rossa si è rivolta al tribunale civile per ottenere lo sfratto. La società si chiama CCCP 1987. Ai fondatori sembrò divertente: Col Cavolo Che Perdiamo. Certo non è possibile che la Croce Rossa abbia, per uno spiacevole equivoco, esteso a loro le sanzioni contro Putin. Sabato 14, alle 11, al Faro si terrà un’assemblea pubblica: per chi ha domande, per chi non ha capito bene, per chi vuole. La Croce Rossa è invitata.

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