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Pensiero del giorno…

 
 
 

Spargere di sale

ferita inerme,

non chiedere mai

quanto è lunga la notte.

I boccioli prendono forma,

le stelle crepitano in cielo,

cespugli volteggianti

di nontiscordardimé

solfeggiare nel crepuscolo,

rondini di ritorno a casa.

 

Assaporare attimo dopo attimo il conosciuto come se fosse tutto nuovo, ma con spirito diverso per rilanciare un entusiasmo assopito.

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23 maggio, Giornata nazionale per la legalità

 
 
 

“Ti racconterò tutte le storie che potrò”

Una giornata che ognuno di noi si porta dentro come un marchio a fuoco, come una ferita rimarginata i cui contorni ci riportano alla memoria eventi impastati con impegno, tenacia e sangue.

Tra le pagine del libro “Ti racconteró tutte le storie che potrò” si legge il “cuore” della signora Agnese e viene fuori la dolce e determinata grandezza unica e inimitabile del compianto magistrato.

“Era un uomo che cercava la verità. Mi disse: dove non c’è verità non c’è giustizia. E poi aggiunse: La giustizia lenta è un’ingiustizia per la società.”

“È un rituale che gli ho visto fare parecchie volte in quegli anni. Vestirsi di corsa e andare da solo sul luogo dell’ultima tragedia. Senza dire una parola. Non tanto per iniziare le prime indagini, piuttosto perché sperava sempre che l’amico, il collega, si fosse salvato dai colpi terribili della mafia.”

Nel racconto, voluto fortemente dalla moglie che ha voluto utilizzare gli ultimi mesi della sua vita per lasciare dietro di sé ricordi indelebili di una vita trascorsa accanto al suo e nostro “eroe”, pian piano impariamo a conoscere l’uomo, marito e padre affettuoso, attento, generoso e indimenticabile.

“È in quei giorni che Paolo mi ripete: È’ normale che ci sia la paura in ogni uomo. Ma l’importante è che la paura sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna mai farsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti.”

Un libro delicato che ci accompagna nella quotidianità non sempre facile di un uomo che ha saputo rendere grandi valori quali: coraggio, responsabilità del proprio ruolo, generosità nel darsi, impegno profuso con entusiasmo e amore incondizionato.

 

* 19 luglio 1992 la strage di Via d’Amelio.

Paolo Borsellino, il giudice antimafia, si era recato in visita alla madre quando nel breve tratto tra le auto della scorta ed il portone una vecchia Fiat 126 imbottita di esplosivo, innescata a distanza, cancellava la vita del giudice palermitano e della sua scorta.

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Trent’anni dopo. Mafie sulla pelle

 
 
 

Si terrà oggi, martedì 24 maggio, dalle ore 19.30, presso la Biblioteca Comunale “G. Ceci”, l’evento “Mafie sulla pelle”, organizzato dal “Forum Città dei Giovani”, che vedrà ospiti l’avv. Michele Caldarola, referente del presidio Libera di Andria “Renata Fonte”, e il dott. Angelo Jannone, colonnello in congedo, esperto del patrimonio dei Corleonesi ed autore del libro “Un’arma nel cuore”. A trent’anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, il ricordo dei giudici Falcone e Borsellino nelle parole del membro del nuovo direttivo del Forum, con delega alle Politiche Sociali, Giovanna Scamarcio.

Ciao Giovanna. Perché avete deciso di organizzare l’evento “Mafie sulla pelle”?

Abbiamo deciso di organizzare questo evento perché riteniamo che sia fondamentale non solo essere consapevoli e “fare memoria” ma anche, in un certo senso, empatizzare per comprendere al meglio cosa è la mafia; un fenomeno che molti ragazzi, percepiscono troppo distante dalla nostra realtà, da questa riflessione scaturisce anche il titolo.

L’avvocato Michele Caldarola illustrerà la situazione mafiosa del nostro territorio, dandoci la possibilità di percepire la mafia più da vicino e conoscere ciò che accade nelle nostre terre, di cui spesso non sappiamo nulla.

Il Dottor Angelo Jannone, invece, racconterà la storia di chi ha lottato in prima persona contro la mafia, rischiando la propria pelle.

Quale insegnamento possiamo trarre dal dott. Angelo Jannone e dal suo ultimo libro “Un’arma nel cuore”?

Il libro del Dott. Jannone non è solo un’ autobiografia ma racconta di “eroi silenziosi“.  Il romanzo permette di immedesimarsi nei protagonisti, (grazie ai racconti delle loro fragilità, di aneddoti, di riflessioni), che hanno trasformato il proprio lavoro in una costante lotta, facendosi carico di tutti i rischi del caso. Una lotta contro un fenomeno, che ancora oggi, è ritenuto indomabile. Può insegnare tanto soprattutto ai giovani che decideranno di intraprendere queste carriere.

Inoltre, riporto la citazione sul retro della copertina: “Un libro che andrebbe preso in mano ogni volta che, a proposito di mafia, verrebbe la tentazione di dire: tanto non serve a niente” (Gianluca Nicoletti, giornalista).

Perché l’esperienza dell’avv. Michele Caldarola, come referente Libera di Andria, è fondamentale?

L’ Avv. Michele Caldarola darà la possibilità al pubblico di aprire gli occhi ascoltando e comprendendo quello che accade nelle nostre terre. Oggi i ragazzi vengono spesso etichettati negativamente, soprattutto da chi non ci prova neanche a confrontarsi con noi.

L’ Avv. Caldarola, invece,  parla spesso ai giovani, ha dato vita, assieme a Libera, a diversi eventi nelle scuole e con i ragazzi. È una persona aperta al confronto e che può insegnare tanto, due aspetti fondamentali per chi ha voglia di conoscere, questo  a prescindere dall’età,

Cosa possono nel concreto fare i giovani per combattere le Mafie?

Non si devono accettare i compromessi, bisogna agire sempre secondo dei principi quali la giustizia, l’ equità, la civiltà.


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Per un reale dialogo tra biologia e teologia

 
 
 

Il contributo di Angelo Vianello

I primi decenni del XXI secolo vedono il pensiero filosofico-scientifico che, pur impegnato in primo luogo su vari livelli a far fronte a diverse e inedite sfide per loro natura sempre più planetarie, non tralascia quel non secondario tema ereditato dalla modernità, il confronto fra scienza e fede, o meglio fra il sapere scientifico e quello derivato dall’esperienza di fede, confronto che ha visto protagonisti gli stessi fondatori della scienza moderna; se con Galileo ha assunto, com’è più noto, risvolti drammatici, con Newton poi tale confronto è stato meno lacerante e nello stesso tempo più costruttivo, come ampiamente documentato da Hélène Metzger nell’ancora e quasi unico lavoro nel suo genere  del 1938, Attraction universelle et religion naturelle chez quelques commentateurs anglais de Newton (Hélène Metzger, vittima della Shoah, filosofa della scienza, 27 gennaio 2021). E non a caso è stato ancora ritenuto cruciale da diverse figure del ‘900, a partire da figure di scienziati-filosofi come Max Planck, Albert Einstein,  Pierre Teilhard de Chardin, Stefan J. Gould sino a Giovanni Paolo II, il cui papato, sulla scia delle indicazioni del Concilio Vaticano II, tra le altre cose è stato caratterizzato da una non comune attenzione verso questo problema ritenuto cruciale per evidenti ragioni pastorali tese ad avviare su nuove basi il rapporto con la contemporaneità, una volta individuate alcune cause del secolare conflitto grazie alla coraggiosa presa in carico del ‘Caso Galileo’.

E’ da segnalare che  in questo campo  sono tuttora impegnati in prima persona gli stessi scienziati, credenti e non credenti, coadiuvati dal fatto che da una parte, a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, sono venute meno quelle immagini unilaterali della scienza di stampo vetero-positiviste grazie agli sviluppi degli studi storico-epistemologici col darci non secondari contributi per affrontare su nuove basi i valori cognitivi in essa impliciti; e dall’altra  soprattutto in area anglosassone e nell’ambito della tradizione teologica riformata liberale è venuta a consolidarsi la cosiddetta Theology and Science, dove figure come Ian Barbour prima e dopo Robert J. Russell, fisico teologo, hanno messo proficuamente in atto quella che chiamano  a creative mutual interaction (Quando cosmologia ed escatologia si incontrano, 9 dicembre 2021). Tutto questo, insieme con la piena metabolizzazione delle conseguenze del ‘Caso Galileo’ in campo cattolico col portare ad iniziative varie come il  Centro di ricerca DISF e Nuovo SEFIR, ha gettato le basi per avviare un rinnovato dialogo tra scienza e fede, una volta che sono state, a dirla con Papa Benedetto XVI,  liberate dai rispettivi ‘restringimenti ideologici’ ereditati dal passato; ma ciò è stato possibile dopo un loro reciproco e salutare  bagno di umiltà epistemologica nel senso avanzato da più figure di filosofi della scienza come Federigo Enriques, Gaston Bachelard,  Karl Popper ed Edgar Morin, i cui lavori hanno avuto il merito di demolire gli ‘assoluti terrestri’ e di spogliarci dal mito dell’onniscienza per usare dei termini di  Dario Antiseri e Mauro Ceruti.

Ed in tale contesto, caratterizzato dalla  presenza per lo più di fisici, viene ad inserirsi l’originale lavoro, definito ‘molto ricco e felicemente interdisciplinare’ dal compianto giornalista scientifico Pietro Greco, del biochimico Angelo Vianello Sapere e fede: un confronto credibile. Per un dialogo possibile tra biologia e teologia (Udine, Forum Edizioni, 20182) con la prefazione di Federico Vercellone e la postfazione di Alessandro Minelli che ne hanno illustrato alcuni salienti aspetti. Autore di altri importanti lavori riguardanti l’evoluzione della vita, la biodiversità, l’altruismo e le sfide dell’Antropocene (Per una visione agapica dell’Antropocene, 3 marzo 2022),  Angelo Vianello, da savant o scienziato a lavoro ed engagé nel senso bachelardiano del termine, ci offre un non comune percorso storico-epistemologico caratterizzato da una parte da una presa di coscienza veritativa del continente scienza  ed in particolar modo del composito universo delle scienze della vita, anche grazie ad una piena metabolizzazione dei risultati raggiunti nell’ambito del pensiero complesso, e dall’altra dalla presa in carica di alcune proposte di teologi come Hans Küng e Jürgen Moltmann; non a caso, grazie all’esperienza maturata attraverso lo studio dell’evoluzione dell’uomo, ci offre una lettura particolarmente interessante della Teologia della speranza di questo teologo col fare sue anche alcune indicazioni  espresse in Scienza e sapienza, che gli hanno permesso di guardare al mondo della fede da diverse prospettive aperte al confronto critico con altri saperi al fine di “salvare l’esperienza umana e, più in generale, la biosfera”. Armato di questa doppia consapevolezza epistemica ci viene così offerto  un percorso teso al confronto con un nuovo esprit, nel senso di Gaston Bachelard, con i due ‘pilastri del tempo’, come li chiamava S. Gould, con l’obiettivo insieme teoretico-esistenziale di “trovare   delle sintesi che possono facilitare, sul piano culturale, il rispetto delle reciproche diversità”, anche perché come già Galileo aveva diagnosticato, e poi ribadito da Giovanni Paolo II, non ci può essere conflitto tra due verità, ma esso si verifica quando si propongono   false e fuorvianti interpretazioni di entrambe, come storicamente è avvenuto ed avviene spesso per motivi ideologici.

Ma è da tenere presente, per capire meglio il percorso di Angelo Vianello, che le scienze della vita, a differenza della fisica che ha dovuto per affermarsi come sapere autonomo portare avanti una contestuale e difficile ‘filosofica militia’ come la chiamavano Federico Cesi e lo stesso Galileo, si sono  sviluppatesi nella seconda metà dell’Ottocento da Darwin e Bernard a Mendel e Pasteur quando il sapere scientifico si era ben consolidato con le sue specifiche ‘ragioni’ a dirla con Federigo Enriques;  e per questo  i maggiori protagonisti  non si sono particolarmente impegnati sul terreno epistemologico per chiarirne le modalità d’essere, operazione sempre necessaria per evitare false interpretazioni, il che è avvenuto spesso, com’è noto, per la teoria dell’evoluzione. Mentre i fisici alle prese con altri radicali cambiamenti hanno continuato nel corso del primo Novecento a produrre una ricca mole di dibattiti sulla natura del reale fisico, in campo biologico, se si escludono gli importanti contributi di Teilhard de Chardin, S.  Gould, Ernst  Mayr e Jean Piaget, non si è verificata una cosa del genere e si è dovuto aspettare la riflessione prodotta dal pensiero complesso che non a caso si è nutrito in particolar modo dei contenuti veritativi impliciti nell’universo delle scienze del vivente.

Tutto ciò ha determinato sino a qualche decennio fa la mancanza di un ‘dialogo’ costruttivo da parte di questo ambito del pensiero scientifico con il sapere teologico data anche la  complessità delle scienze della vita, su cui aveva attirato già l’attenzione Giovanni Paolo II nei due discorsi sulla teoria dell’evoluzione con l’insistere sulla necessità da parte degli stessi protagonisti di affrontarne le relative questioni metodologiche e le implicazioni teologico-filosofiche per capire le ‘origini’ e le stesse ‘ragioni della vita’, questioni oggi sempre più al centro dell’attenzione. Ed è questo uno degli obiettivi e dei meriti non secondari del percorso di Angelo Vianello che, ponendosi sulla  scia di tali indicazioni come anche sui lavori più recenti di  Christian de Duve,  Stuart Kauffmann,  Fiorenzo Facchini, Francisco Ayala, Francis Collins, Giuseppe Tanzella-Nitti e  Mauro Ceruti, si impegna quasi in una rinnovata ‘filosofica milizia’, tesa da una parte a fare emergere gli intrinseci valori veritativi  delle scienze del vivente e dall’altra, grazie ad esse, a ridare all’esperienza di fede un  rafforzato dinamismo escatologico col fare sue proficuamente  le proposte di Teilhard de Chardin e di Moltmann; ne emerge un solido quadro epistemologico-ermeneutico per gettare le basi di ‘un confronto credibile’, di una ‘dialogo possibile tra biologia e teologia’, ritenuto sempre più ‘ineludibile’ anche perché, come spesso viene ribadito, trova le sue ragioni d’essere nelle “fondamenta nella libertà di pensiero, intesa come la più grande risorsa dell’uomo”.

E come uomo di scienza che ha studiato l’evoluzione dell’uomo, le ‘nostre lontane origini’, ‘le principali tappe dell’Homo sapiens’, ‘l’enigma dell’aggressività’, ‘la sfida ambientale’, Angelo Vianello ci avverte che porre sul terreno più giusto l’auspicata sintesi tra il sapere scientifico ed il sapere della fede, oltre a costruire insieme una più “concezione laica della società”, è un percorso più aperto a diverse possibilità come “aprire a scenari di speranza utili a orientarci nell’agire di ogni giorno e a costruire un futuro che renda possibile la sopravvivenza  di questa nostra fragile esperienza terrena”. E come scienziato al lavoro ha messo in pratica in modo proficuo quella magistrale ‘sintesi’, esposta nei suoi numerosi scritti  a partire da Il fenomeno umano, di Teilhard de Chardin che ha sempre insistito  sul fatto che se le verità scientifiche vengono ben comprese, sono il nutrimento stesso dell’uomo di fede; tale approccio, grazie all’immersione nei dibattiti epistemologici e teologici odierni, poi lo ha portato ad una diversa lettura dei rispettivi contenuti veritativi   e più attenta alla loro autonomia insieme con la coscienza teoretica del fatto che, quando scienza e fede si incontrano e dialogano in modo costruttivo, si arricchiscono entrambe di nuovi orizzonti cognitivo-esistenziali oggi più che mai necessari in un mondo  globalizzato le cui dinamiche  richiedono piani di interventi non più sorretti da logiche unidimensionali ma interdipendenti per le diverse sfide che ci attendono.

Alla luce di tali indicazioni,  Sapere e fede, oltre ad analizzare diversi punti di vista emersi nel variegato universo delle scienze biologiche sempre più bisognose di approfondimenti storico-epistemologici data la dimensione planetaria dei problemi affrontati, è un testo molto ricco di idee finalizzate a creare le basi di una impalcatura concettuale in grado di rendere sempre più “fecondo” il dialogo tra teologia e biologia; esso ‘fa tesoro’ nel senso biblico del termine dello “scenario che emerge dal ‘dibattito alla tavola alta dell’evoluzionismo’” senza cadere in posizioni naturalistiche grazie al fatto che, ormai nel regno del vivente e dell’universo stesso, la storia della vita è concepita  “come una storia di possibilità per esplorare ciò che Kauffman definisce ‘l’adiacente possibile’” dove vengono a giocare un ruolo  strategico  la contingenza e la causalità come ben analizzato da Gould e in Origini di storie  da parte di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti. In tal modo  Angelo Vianello non cade in un facile sincretismo o concordismo, già definito da Giovanni Paolo una vera e propria ‘insidia epistemologica’, in quanto fa suo in modo programmatico il punto di vista  espresso dallo stesso Gould che riteneva la vita piena di diverse potenzialità ed emergenze continue, tale da non dover ‘essere  abbracciata sotto un’unica prospettiva’ con il conseguente e necessario essere non un ‘relativista’ nei confronti della verità, ma ‘un pluralista’ nei confronti di questo reale.

Angelo Vianello  ci consegna  questo suo percorso con una ulteriore indicazione, che gli proviene dal  lungo peregrinare nei tortuosi sentieri dell’evoluzione umana, contrassegnata come diceva Teillhard de Chardin sì da continui  ‘strazi’  ma forieri di nuove possibilità, dove è ritenuta essere stata strategica e lo è tuttora la cooperazione tra gli esseri viventi; e questo percorso, che si nutre anche dell’apporto di esperienze poetiche come quella di Mario Luzi, viene arricchito dall’invito di Moltmann  a “contrastare il cinismo dell’annientamento della vita, oggi diffuso nel nostro mondo”, a non “trascurare la sofferenza della natura” e a dare il dovuto ascolto al “gemito della creazione oppressa”  per lottare “per un futuro comune”, condizione indispensabile per la “possibilità di nuova nascita dell’umanità“, proposta condivisa sulla scia delle indicazioni di Ernesto Balducci e di Mauro Ceruti.

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(Leggo)

«...la vostra tristezza si cambierà in gioia.» Gv 16,20-23.

Questa realtà è transitoria, quello che è definitivo, eterno, è la gioia di incontrarlo, risorto, nella certezza di non perderlo mai. Mentre viviamo in questa vita, la certezza della sua presenza ci appaga; non abbiamo bisogno di interrogarci sul passato o sul futuro. Cristo, Signore risorto, dà il senso ultimo della storia e della nostra vita.

(Prego)

Dice il Signore: «Non vi lascerò orfani. Vi vedrò di nuovo e si rallegrerà il vostro cuore».

(Agisco)

Pregare per quelle mamme tentate dall'aborto.

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Gli avverbi di De Mita

Tre anni fa, a 91 anni, Ciriaco De Mita era stato rieletto sindaco della sua citta, Nusco

Tre anni fa, a 91 anni, Ciriaco De Mita era stato rieletto sindaco della sua citta, Nusco

La prima volta che il giornale mi ha mandata a parlare con Ciriaco De Mita non avevo ancora 26 anni, il Muro di Berlino era al suo posto ed era in corso una delle faide interne alla Dc al cospetto delle quali la Guerra Fredda appariva un processo lineare. De Mita, da poco ex presidente del Consiglio, aveva appena rinunciato a formare un nuovo governo. Gli sarebbe subentrato Andreotti. Mi ricevette in un suo studio privato, alzò solo un attimo gli occhi dalla scrivania e senza rivolgermi la parola (“Buongiorno”, forse, disse a mezza bocca) chiamò al telefono il mio direttore. “Questa non è adatta, non può capire”, gli disse davanti a me, “questa” ero io.

Sconsolato dalla risposta, passò a dettare sillabando. Non c’erano i social né l’attuale suscettibilità, dunque a posto così. Dopo due ore nel labirinto delle subordinate, incisi e sospiri, tornai con quattro cartelle scritte a mano che declamai al collega esegeta della lingua dei ‘basisti’: ogni corrente dc aveva difatti un esperto nella traduzione di quel preciso idioma. “Interessante questo passaggio”, disse fermandomi a metà della terza cartella: “Questo”, e ripeté fra diecimila parole un solo avverbio di otto sillabe.

Ho passato i primi quindici anni della mia vita di cronista a decifrare la complessità della prosa e del pensiero dei leader politici, i secondi quindici a piangerne l’assenza: di prosa, di pensiero. Qualche anno fa, ormai con me amichevole non so se per abitudine o per resa, mi ha presa sottobraccio, in Transatlantico, e indicando un suo giovane collega ha detto: “Quando dice una cosa semplice è perché mente”. Anche voi, ho risposto, mentivate. “Sì, ma sapevamo sempre per andare dove”, e ha allungato il passo contento.

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La decadenza del servizio clienti

di Riccardo Luna
 

La decadenza del servizio clienti

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Con i call center sta accadendo un fenomeno interessante. E non è ovviamente l’esasperazione per le continue telefonate promozionali. (A proposito qualche giorno fa ho chiamato un tale per intervistarlo e questi ha iniziato a inveire dicendomene di tutti i colori e in sostanza ribadendo che non voleva cambiare abbonamento).

 

No, il fenomeno interessante dei call center è un altro. In pratica se ci devono trovare per venderci qualcosa, lo fanno in ogni momento, una persona con voce suadente si presenta promettendo di aiutarci e lì inizia la televendita. Ma se invece siamo noi ad aver bisogno di loro, per cambiare una prenotazione e verificare qualche dato, veniamo rimbalzati da una chat online dove un bot prova a far finta di aver capito di cosa abbiamo bisogno; a segreterie telefoniche dove veniamo invitati a premere il tasto uno o due per andare avanti fino a che non ricominciamo dal via. Insomma, il fenomeno è questo: le vendite le fanno gli esseri umani; il servizio clienti lo fa una rudimentale intelligenza artificiale.

Non è casuale: gli esseri umani sono ancora molto più bravi ma costano di più e se devi tagliare, tagli sul servizio non sul fatturato. Il risultato è che quando arriva la telefonata qualcuno effettivamente ci casca e cambia abbonamento al gas, alla luce o al telefono; mentre se devi esercitare i tuoi diritti, far presente un malfunzionamento, o semplicemente se hai bisogno di aiuto, sei spacciato. Per porre un argine al dilagare delle chiamate di marketing partirà presto un nuovo strumento, il registro delle opposizioni; ma sarà il caso di occuparsi anche del secondo aspetto.

La decadenza dei servizio clienti. Compra qualcosa online e se c’è un problema con qualche eccezione (tipo Amazon) finisci in un buco nero. A meno che non ti piaccia dialogare con una intelligenza artificiale piuttosto scema peraltro. 

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Uber e i tassisti non sono più quelli di una volta, per fortuna

di Riccardo Luna
 

Uber e i tassisti non sono più quelli di una volta, per fortuna (reuters)

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Mi ricordo le barricate, i tafferugli, gli insulti e le minacce. A Roma, ma non solo. Era il 2015 e la guerra dei tassisti a Uber in Italia toccò il suo apice. Sono passati sette anni e quella siglata ieri da ItTaxi è più di una pace: è un'alleanza. Da giugno dentro la app della società di San Francisco ci saranno anche dodicimila taxi.

 

Nel frattempo il mondo è cambiato, ma soprattutto sono cambiati i tassisti: messi all’angolo dall’arrivo di Uber, hanno fatto l’unica cosa che potevano fare. Non le barricate. Migliorare il servizio.

 

 

Oggi quelli che ti dicono che non hanno la carta di credito o che hanno il POS rotto sono una piccola minoranza, gli altri spesso li puoi pagare tramite smartphone; per chiamarli, nelle grandi città, una app dedicata ha preso il posto del radio taxi che spesso ci costringeva ad attese infinite. Con le stesse app è possibile sapere chi arriverà a prenderti, su quale auto, e alla fine dare un punteggio al servizio ricevuto; e una mancia. In sette anni i tassisti hanno fatto quello che non avevano fatto nei settanta anni precedenti. Ma anche Uber è cambiata: l’idea che chiunque, senza una licenza, potesse mettersi a fare il tassista con la propria auto per arrotondare è stata accantonata, travolta da sentenze contrarie ma anche da incidenti più o meno gravi capitati ai passeggeri. Oggi Uber si è evoluta e punta a diventare una piattaforma per la mobilità urbana in cui ci siano tutti i servizi, legali e autorizzati, a disposizione del cittadino, comprese bici e monopattini. Sullo sfondo si intravedono un giorno città meno trafficate, meno inquinate, più vivibili. 

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La spesa a casa in 10 minuti forse non ci interessa più tanto

di Riccardo Luna
 

La spesa a casa in 10 minuti forse non ci interessa più tanto (reuters)

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Per qualche mese la spesa a casa in dieci minuti ci è parso il futuro verso cui stavamo andando. Erano i mesi del lockdown e in Germania era partita a razzo una startup che aveva trovato il modo di realizzare quella promessa usando bene tecnologia e magazzini di quartiere: ordini online e in 10 minuti il tutto ti arriva a casa. 

 

Gli investitori si erano entusiasmati mettendoci oltre un miliardo di dollari, la valutazione di Gorillas era volata facendone la startup cresciuta più in fretta nella storia e quei soldi erano serviti a finanziare la crescita su diversi mercati europei. 

Non era sola Gorillas a giocare in questo nuovo campionato chiamato quick-commerce, una evoluzione ultra rapida dell’ecommerce. Adesso la frenata: Gorillas ha annunciato il licenziamento di 300 persone. Anche il principale competitor, la startup turca Getir, ha annunciato che licenzierà il 14 per cento dei suoi dipendenti, circa 500 persone. Intendiamoci, è tutta l’economia che sta frenando, e tutte le aziende ne stanno soffrendo. Il meccanismo è semplice: con i tassi di interesse alti, ci sono meno soldi per gli investimenti e quindi mancano i capitali per continuare a finanziare la crescita di startup che per affermarsi continuano a bruciare decine di milioni di dollari al mese. Gorillas, per esempio, perde 90 milioni al mese. 

 

Epperò forse è il quick commerce ad essere al capolinea. Una pratica nata durante il lockdown, quando era complicato o sconsigliato uscire di casa e la spesa a domicilio in dieci minuti ci sembrava una figata. Ma adesso la pandemia sembra alle spalle e abbiamo tutti una voglia matta di uscire di casa. In giro nelle nostre città ci sono ancora maxi affissioni di Gorillas e Getir che ci decantano la meraviglia dei dieci minuti. Sembrano parlare del passato. 

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