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Il più grande esperimento del mondo di settimana lavorativa da 4 giorni

Il più grande esperimento del mondo di settimana lavorativa da 4 giorni
Sarebbe un sistema per attrarre talenti. E se la produttività resterà inalterata, le aziende potranno aumentare la competitività
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Mentre in Italia, come ogni anno quando arriva l’estate, si riparla dei salari troppo bassi e del cuneo fiscale da tagliare, nel Regno Unito è partito il più grande esperimento mai fatto per la settimana lavorativa di quattro giorni. Se ne parla da un po’, qualche test, confortante, è stato fatto, ma quello che colpisce in questo caso è la dimensione: a partire da lunedì scorso e fino alla fine dell’anno, settanta aziende che impiegano in tutto tremila e trecento lavoratori, hanno avviato la settimana lavorativa cortissima a parità di salario.

 

La scommessa, l’ipotesi da dimostrare, è che con tre giorni di riposo a settimana, invece del solo weekend, i lavoratori saranno più felici - e questo è scontato - ma anche più produttivi. Ovvero riusciranno a fare in quattro giorni quello che finora hanno fatto in cinque, perché più motivati e realizzati anche nella vita privata e familiare. Se la produttività è la stessa perché un'azienda dovrebbe farlo? La felicità dei dipendenti infatti non è, purtroppo, fra le missioni di una impresa economica.

 

La risposta è: per attrarre talenti. Se davvero si dimostrerà che con quattro giorni di lavoro a settimana la produttività resta inalterata, le aziende che vorranno impiegare i migliori talenti potranno offrire questa modalità e a quel punto, sì, averne anche un vantaggio economico. E’ un test e come tutti i test il risultato non è scontato. Ma è interessante che senza aspettare una legge, un decreto, o un accordo sindacale, un gruppo di aziende di vario tipo, abbia deciso di andare a vedere cosa succede. Il futuro è così: occorre andarlo a cercare se un giorno non vuoi che bussi alla tua porta avvertendoti che sei il passato.

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Giornalisti e ballerini

 
Marina Ovsyannikova (coperta dal cartello) durante la clamorosa protesta su Channel One Russia

Marina Ovsyannikova (coperta dal cartello) durante la clamorosa protesta su Channel One Russia

Si celebra domenica prossima, anche in Italia come ogni 12 giugno, la Giornata della Russia. Si attendono, anticipano i giornali, grandi celebrazioni in una splendida villa romana. Quale occasione migliore, se per caso fosse possibile ai giornalisti italiani fare liberamente qualche domanda, per chiedere agli ospiti di qualche piccola faccenda minore non ancora del tutto chiara: certo i festeggiamenti solenni non sono la sede per aprire dibattiti su temi di fondo, ma magari su qualche fatto di cronaca due cose in più si riuscirebbero a capire.

Mi incuriosisce molto per esempio lo strano caso di Marina Ovsyannikova, la giornalista che fece irruzione negli studi di Channel One Russia, a Mosca, studi insolitamente incustoditi, con un cartello di dissenso a Putin scritto in russo e in inglese. Gli ucraini la accusano ora di essere stata protagonista di una messa in scena, di essere una finta dissidente, insomma, usata per confondere le acque e mostrare una certa condiscendenza delle autorità russe verso i contestatori, essendo in effetti ella ancora in vita.

Non altrettanto si può dire purtroppo di tre giovanissimi ballerini morti in circostanze misteriose nelle ultime settimane. Nessuna relazione con la notizia precedente, solo la medesima difficoltà a comprendere i fatti. Il primo ballerino del Balletto del Cremlino, Anatoly Soi, 23 anni, asfissiato a causa di una fuga di gas: un impianto di riscaldamento difettoso, leggo nelle cronache. Una giovane allieva, 15 anni, di cui non è noto il nome era scomparsa qualche giorno prima. Infine il 29 maggio Alesya Lazareva, 20 anni, trovata cadavere nel bagno. Che terribile coincidenza. Che apprensione, di questi tempi, avere i figli nel corpo di ballo, a Mosca.

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La media gioventù

La media gioventù
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La prima cosa bella di mercoledì 8 giugno 2022 è la media gioventù, quella che non ha fatto né la guerra né la rivoluzione, non ha cambiato il mondo e non l’ha distrutto, ed è ancora qui a raccontarlo. L’altro giorno, in un libro intitolato “1972”, scritto da Francesca Capossele, ho sottolineato questa frase: “I giovani fuori dalla loro gioventù diventano solo degli adulti che vogliono convincere altri giovani di aver fatto delle esperienze migliori”. Esattamente così. Ogni generazione vuol convincersi di non essere passata invano, di aver avuto un’esperienza strepitosa e, va da sé, irripetibile. Ma ogni generazione non è che una somma di individui con la propria paura di essere stati trascurabili, intenti a ingigantire la propria ombra mentre scende la sera. Di fronte alla storia la sola strategia di sopravvivenza è l’umiltà, rara eppure indispensabile al presente. Quanto al passato, salva dal ridicolo. Una gioventù straordinaria? Come no. Si viaggiava con l’lnter Rail, si votava radicale perché prima venivano i diritti, si ascoltavano i Pink Floyd, s’è vinto un Mondiale. S’è accantonata la violenza, ma non s’è trovata la pace. I più generosi tra noi vorrebbero sinceramente che ai giovani succeduti toccassero esperienze migliori ma, osservandoli perdersi nei loro schermi, non lo credono. Per quello, alla fine, ci cascano: pensano, pur senza orgoglio, che la media gioventù sia stata la meglio gioventù.  

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(Leggo)

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento»

Mt 5,17-19.

 

Gesù viene a dare compimento, una finalità, una realizzazione...no a ingabbiare nelle regole e leggi a volte disumane.

 

(Prego)

Il Signore è mia luce e mia salvezza,

di chi avrò paura? (salmo 26)

 

(Agisco)

Guardare la proposta cristiana come crescita.

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Adolescenza nella letteratura e nella Canzone d’Autore

 
 
 

Protagonisti, gli alunni dell’I.T.E.T “Cassandro Fermi Nervi di Barletta

Domani, 7 giugno 20221, alle ore 18.30, nell’auditorium “P.P.Mennea “ dell’I.T.E.T “Cassandro Fermi Nervi di Barletta, nella figura del dirigente Salvatore Citino,  i giovani studenti daranno vita allo spettacolo “L’adolescenza nella letteratura e nella canzone d’ Autore” nell’ambito del PON “La scuola che guida ed aiuta“ finalizzato ad arginare la dispersione scolastica.

L’evento, coordinato dalle professoresse Adele Passero, Vincenza Lamacchia e Raffaella Rotunno, si avvale della regia della dott.ssa Maria Filograsso , della direzione musicale del maestro Domenico Mezzina e della consulenza psicologica della  dott.ssa  Sara Nanula .

Un periodo difficile, quello adolescenziale, un periodo di crescita messo a repentaglio soprattutto dall’emergenza sanitaria, per questo un gruppo nutrito di studenti è stato coinvolto nella scelta dei brani letterari e dei testi musicali d’Autore, con tematiche che guardassero all’aspetto emozionale e ludico presente nell’attività teatrale e nella scrittura autobiografica e diaristica.

Grazie alla passione di docenti esperti, i ragazzi, dal primo al quinto superiore, hanno acquisito consapevolezza del proprio Io, un universo spesso ricco di ribellione, di pensieri inespressi, sogni e desideri , ammiccando alla costruzione di relazioni positive, causa e conseguenza di vitalità, allegria e voglia di ritrovare se stessi.

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Andamento lento

 
 
 

Avere l’umiltà di essere un purosangue e trascinare l’aratro

Ho sempre pensato che impegnarsi in tante cose, l’essere in mille faccende affaccendato, fosse segno di energia e vitalità.

Mi sono, in parte, ricreduto.

Sia chiaro, l’azione è sempre preferibile all’accidioso piagnisteo, ma accelerare, purtroppo, è, a volte, sintomo di profonda depressione, dell’incapacità di concedersi un riposo cerebrale, della non volontà di fermarsi a riflettere sulla propria precaria condicio di limitata umanità.

Bisognerebbe, invece, sedersi a contemplare le creazioni di Dio, come si può ammirare la perfezione anatomica di DeLacroix, i malinconici chiaroscuri di DeChirico.

Bisognerebbe lasciarsi inebriare dal profumo della Cappella Sistina, o farsi travolgere dal caos di Klimt, avere l’umiltà di essere un purosangue e trascinare l’aratro, la dignità di essere architetto e fare il manovale.

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Le difficoltà diplomatiche dell’Europa

 
 
 

Tra NATO ed ex Patto di Varsavia…

La NATO nasce all’indomani della seconda guerra mondiale, come applicazione pratica alla teoria americana del containment, volta per l’appunto a contenere le velleità dell’Unione Sovietica, che qualche anno più tardi si unirà con gli stati socialisti nel Patto di Varsavia, in un’alternativa strategica al controllo mascherato degli Stati Uniti. La storia aveva fatto capire agli americani che la pace sul suolo europeo sarebbe stata garantita da un trattato in grado di isolare il pericolo bolscevico e di reintegrare, con gradualità, nel novero degli stati civili, la Germania, così come avevano fatto  europei costituendo la CECA ( Comunità Europea dell’Acciaio e del Carbone) mettendo in comune la produzione del settore carbo -siderurgico, che avrebbe evitato in tal modo lo scontro secolare tra Germania e Francia e favorito l’integrazione di quei paesi, come l’Italia, privi di tali risorse, e la CEE ( Comunità Economica Europea) che creava un mercato comune e che, nel corso dei decenni, ha conosciuto uno strabiliante processo di integrazione politica e monetaria.

La Nato e il Patto di Varsavia hanno rivaleggiato, soprattutto in maniera indiretta, su campi di battaglia periferici, mai direttamente, animando le varie crisi internazionali, fino al 1°luglio 1991 quando il Patto fu sciolto.

La Nato invece ha conosciuto una progressione impressionante che può essere paragonata, con finalità apparentemente diverse, all’Unione Europea.

I dodici paesi fondatori (Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti) ne hanno poi inglobato altri con una raziocinio alle volte geografico, alle volte politico, il più delle volte strategico. Negli anni ’50 del secolo scorso fanno il loro ingresso la Grecia e la Turchia, unite dal Patto Atlantico, ma divise dai precedenti storici e soprattutto da rivendicazioni territoriali e marittime che si giocano in particolar modo sul terreno cipriota e che ancora oggi creano tensioni non di poco conto nel Mar Mediterraneo.

Nell’82 la Spagna entra a far parte dell’ Alleanza e nella CEE, scrollandosi di dosso gli anni della dittatura franchista.

La caduta del Blocco comunista segna lo spartiacque e il cambio di rotta da parte dell’Organizzazione. Con l’avversario numero, la Russia, provvisoriamente in standby, gli USA e la NATO hanno adottato la tattica dell’offensiva a tutto campo sul terreno sguarnito a Est, una terra di conquista da sfruttare centimetro su centimetro. E il 1999 diviene l’anno simbolo di questa nuova vita della NATO che orfana del nemico, è andata a disgregare i rimasugli del vecchio mondo socialista. L’attacco a Belgrado, una prova di forza senza alcuna autorizzazione, un precedente dimenticato dai più che a anni di distanza può far parlare a tutti gli effetti di aggressione, non molto diverso da ciò che i russi hanno fatto in Ucraina, e l’allargamento a Est con Polonia, la ex Cecoslovacchia e l’Ungheria, feudi del vecchio padrone, aprono la stagione dell’espansione orientale del Patto Atlantico che ha visto nel 2004 il suo arrivo culminante sulle sponde del Baltico, a due passi da Mosca, e in Romania.

Nel 2009 Croazia e Albania festeggiano il loro ingresso nel sistema di difesa, antecedendo il Montenegro (2017), il quale rafforza ulteriormente la sua volontà di essere indipendente dal passato e dalla vecchia fratellanza con la Serbia. Gli sviluppi precedenti al conflitto russo ucraino hanno rivelato la volontà, in primis degli americani, di stringere in assedio il  successore dell’Impero comunista, la Russia, non per questo meno temibile e minaccioso, e di isolarla dalla politica internazionale. Il pericolo russo, amplificato dall’azione militare, viene ancora avvertito da quei paesi “neutrali”, Finlandia e Svezia, che come l’Ucraina vorrebbero entrare nel Patto Atlantico, in un processo che affosserebbe anni di equilibri internazionali e che gioverebbe soltanto agli Stati Uniti che hanno avuto il merito di utilizzare la NATO come strumento della politica internazionale. Macron aveva parlato della «morte cerebrale» della NATO e della necessità di accelerare su una politica militare comune in Europa per poter contrastare Cina, Russia e gli stessi Stati Uniti. La Francia tiene molto a questo progetto di esercito comune europeo, essendo l’unica potenza nucleare. Ma come Lazzaro risorto dopo quattro giorni, così la rediviva NATO ha ripreso la sua grande sfida, quell’espansione a Est, che farebbe tanto comodo al vecchio Zio Sam. Nell’attuale situazione, l’Europa non riesce a incidere sugli sviluppi di un conflitto: sottomessa agli USA, incapace di imprimere una svolta nelle trattative tra le fazioni, la cui scena è occupata da altri protagonisti (Erdogan), agisce quasi come una grande potenza regionale e le sanzioni rischiano di rafforzare la partnership tra Cina e Russia e confermare l’imperialismo degli Stati Uniti. Ai miopi europei un misero pugno di grano.

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Le intenzioni e i risultati

 
Padre Alex Zanotelli è impegnato nel Rione Sanità a Napoli

Padre Alex Zanotelli è impegnato nel rione Sanità a Napoli

Mettersi nei panni dell’altro è un esercizio che coincide con l’umanità: non possiamo dirci umani se non siamo capaci di provare a capire, profondamente, chi abbiamo di fronte. Fosse anche il nemico, fosse un mostro. Ogni terrorista, del resto, dal suo punto di vista è un resistente ed è la Storia grande, alla fine, a tirare una linea sulle ragioni e sui torti – ammesso che sia equanime, questo tribunale della Storia: meglio se non fosse sempre composto solo da vincitori. Poi certo dipende: quali sono le condizioni in cui prendi quel punto di vista, quali le regole d’ingaggio, a prezzo di cosa fai il passo.

Nel presente, difatti, il confine tra intenzioni e risultati non è mai nitido: sovente cause ed effetti si confondono. Il bel libro di Alex Zanotelli, “Lettera alla tribù bianca”, per esempio, è un’appassionata esortazione ad uscire dalla propria “bolla” per farsi permeare dall’altro. Zanotelli può farlo portando in dote una vita intera da missionario: in Sudan, nelle baraccopoli di Nairobi, infine da sacerdote nel rione Sanità, a Napoli. Sa di cosa parla, prende le misure, conosce il Male qualunque veste assuma (di rado quella prevedibile), sa fin dove si può spingere l’integrità senza dissolverla.

Non tutti portano in dote la sua stessa esperienza. A proposito di Sanità: è ambientato lì il film di Martone, Nostalgia, tratto dal romanzo di Ermanno Rea. C’è un dialogo, magnifico, fra i due amici che dopo quarant’anni si ritrovano. Tommaso Ragno, il boss, Pierfrancesco Favino, lo “straniero”. In pochi minuti corrono il passato, il presente, si disegna il futuro. Certe cose non cambiano, ma sì: bisogna ostinarsi a crederci anche quando costa. Soprattutto quando costa e non rende.

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Meglio Sixto che mai

Meglio Sixto che mai
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La prima cosa bella di martedì 7 giugno 2022 è l'estrema fortuna nella vita di Sixto Rodriguez, alias Sugar Man, diventato famoso a 70 anni e ricco ora che sta per compierne 80. Chi non ha mai visto il documentario su di lui (Oscar nel 2013) dovrebbe farlo subito. È il migliore da inizio millennio.

Sixto suonava negli Anni Sessanta, poi smise. Non seppe mai di essere diventato famoso da un'altra, allora inaccessibile, parte del mondo, in Sudafrica, dove le sue canzoni erano su tutte le radio e le cantava chiunque. Ce lo riportarono, anziano e stupito, quand'era un muratore a Detroit. Dopo, andò in tour per il mondo. L'ho visto a Milano.

Faticava, ma era una grande storia. Adesso, alla vigilia del compleanno, che sarà venerdì, gli hanno riconosciuto i diritti per quelle musiche suonate per decenni a sua insaputa. Come dire: gli hanno dato la Siae. Che nel suo caso rende agiata l'intera discendenza.

 

Ci sono due cose belle in questa storia. La prima è che puoi non sapere mai quanto conti, chi ti ama e perché, ma questa cosa esiste, è più forte delle barriere e un giorno viene a scovarti. La seconda è che, se ti ricordi di Sixto detto Sugar Man, tu non cambi per questo. Resti nella tua casa e suoni la tua musica: "Uomo di zucchero, non hai fretta, sei già stanco di queste scene".

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(Leggo)

«Voi siete la luce del mondo»Mt 5,13-16.

Queste parole mi scuotono, mi obbligano a riflettere, a meditare, a cercare di capirne fino in fondo il senso. Mi raccolgo e sento la tua presenza in me. Tu sei in me e agisci in me e attraverso di me. Vedi con i miei occhi, senti con le mie orecchie, parli con la mia lingua, ami con il mio cuore. Come non essere, allora, il sale e la luce del mondo, dal momento che sono il tuo tabernacolo?

(Prego)

Padre, che ci hai chiamati alla fede perché fossimo sale della terra e luce del mondo, aiutaci a non tradire mai le attese del tuo Figlio Gesù, perché tutti gli uomini rendano gloria a te.

(Agisco)

Di fronte alle responsabilità di fronte alla responsabilità non lasciarmi prendere dall'indifferenza, ma vivere ogni impegno con serietà e dedizione.

 

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