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Kierkegaard: il filosofo della possibilità
Di
Francesco Maria Cassano -
14 Febbraio 2022
Conosciamo il pensiero di uno dei più noti filosofi degli ultimi tempi, annoverato assieme a Schopenhauer nella corrente dell pessimismo

Søren Aabye Kierkegaard nasce a Copenaghen, in Danimarca, il 5 maggio dell’anno 1813 e scompare nella stessa città l’11 novembre 1855. Cresciuto in una famiglia dal padre molto religioso, decide di iscriversi alla facoltà di Teologia all’università di Copenaghen. Successivamente, a Berlino partecipò alle lezioni di Friedrich Schelling, il quale, insegnando la sua filosofia, parlava della netta distinzione tra realtà e ragione. Inizialmente ascoltava con piacere le lezioni, ma in seguito ne rimase deluso. Questo perché Schelling è collocabile nell’idealismo, quindi nel positivismo, mentre lui, come Arthur Schopenhauer, è collocabile nel pessimismo. Kierkegaard vive un’esistenza travagliata, colma di incertezze che avremo modo di comprendere meglio successivamente, trattando il suo pensiero filosofico. Più nello specifico, egli, nel ‘’Diario’’, parla di ‘’grande terremoto’’ e di ‘’scheggia nelle carni’’; con queste due espressioni il filosofo si riferisce ad avvenimenti spiacevoli che hanno segnato la sua vita (uno di questi è, per esempio, la fine del fidanzamento con Regina Olsen, citato nel caso del ‘’grande terremoto’’).

La filosofia del danese si contrappone all’idealismo romantico tedesco per quattro punti: egli esalta la singolarità dell’uomo, gli idealisti l’universalità dello spirito; egli rivaluta l’esistenza concreta, gli idealisti propendono per la ragione astratta; egli crede nell’inconciliabilità delle alternative, gli idealisti nella sintesi conciliatrice della dialettica; egli considera la libertà come possibilità, gli idealisti come necessità.

Come si può intuire, il danese non è certamente un sostenitore di Hegel, uno dei maggiori esponenti dell’idealismo. Riteneva, infatti, che la sua filosofia fosse pretenziosa e incoerente.

Addentrandoci nel pensiero filosofico di Kierkegaard, uno dei concetti fondamentali consiste nella considerazione dell’intera esistenza dell’uomo basata sulla categoria della possibilità, con accezione negativa. Dal suo capolavoro ‘’Aut-Aut’’ emerge che egli tratta due tipi di possibilità: la ‘’possibilità-che-sì’’ e la ‘’possibilità-che-non’’. Dunque, egli ritiene che l’uomo sia sempre dinanzi a terribili alternative, che non fanno altro che paralizzarlo; è così che l’uomo si trova in uno stato di indecisione e prova angoscia, ma anche la non-scelta genera angoscia. Così si perviene all’impossibilità della scelta, che è la condizione di indecisione e di instabilità dell’io (il cosiddetto ‘’punto zero’’). Per questo motivo è stato definito ‘’discepolo dell’angoscia’’. È da ricordare che anche lui ha provato questa sensazione e ne ha parlato nel caso della ‘’scheggia nelle carni’’.

Secondo Kierkegaard la verità è soggettiva. Egli, conseguentemente, esalta il singolo sul genere, come abbiamo visto precedentemente. Per questo motivo, egli esalta la soggettività dell’esistenza dell’uomo; si perviene, così, alla soggettività della religione e quindi ad un rapporto intimo, personale, con Dio.

Un altro dei concetti fondamentali del pensiero filosofico del filosofo danese consiste nel chiarire le possibilità fondamentali che si offrono all’uomo, cioè gli stadi, dunque le alternative, dell’esistenza. Questi sono tre: il primo è la vita estetica, il secondo è la vita etica e il terzo è la vita religiosa. Ogni stadio è caratterizzato da un proprio tipo di vita; i primi due sono i due stadi fondamentali dell’esistenza e fra di essi vi è un ‘’abisso’’, che è maggiore tra il secondo e il terzo stadio. Gli stadi non sono connessi: si può scegliere in quale rimanere. Vi è, però, un ordine gerarchico in questi stadi: si può passare dal primo al secondo e dal secondo al terzo, ma non si può tornare indietro dopo aver effettuato un passaggio, poiché il secondo stadio è migliore del primo, così come il terzo è migliore del secondo. Parlando della vita estetica, la sua immagine è quella di Don Giovanni, protagonista del suo romanzo ‘’Diario di un seduttore’’; ricordiamo che ‘’Don Giovanni’’ è anche un celebre capolavoro di Mozart. Don Giovanni vanta molteplici relazioni con donne, ma questo è dato dalla sua incapacità di trovare in una donna quell’infinità di piacere e di realizzazione della quale va in cerca. Dunque la dimensione della vita estetica è quella edonistica, dell’immediatezza: si evita la ripetizione e si va sempre in cerca di nuove esperienze che possano arrecare piacere. Questo tipo di vita, però, si rivela poi insufficiente e misera nella noia e per poter uscire da questo stadio è necessario lasciarsi andare alla disperazione; è così che si passa alla vita etica. Lo stadio etico è la scelta della vita perché si sceglie la libertà, quindi si sceglie di vivere. L’immagine della vita etica è l’uomo-marito e l’uomo nel mondo del lavoro. Questo stadio è caratterizzato dalla ripetitività, da una routine che si ripete continuamente. Scegliere questa vita significa anche pentirsi, perché l’uomo perviene al conoscimento della sua intera storia, interfacciandosi con gli aspetti positivi e negativi e quindi è a conoscenza anche della parte più crudele della sua storia. E così l’uomo, pentendosi, perviene allo stadio della vita religiosa, con la fede concepita come, appunto, antidoto alla disperazione. L’immagine di questa vita è Abramo, del quale il filosofo parla nella sua opera ‘’Timore e tremore’’. Scegliendo di passare alla vita religiosa si sceglie di sottostare ai principi divini che possono entrare in contrasto con quelli sociali e morali. Infatti Abramo, per dimostrare la sua fedeltà a Dio, uccide suo figlio. Questo tipo di vita comporta, dunque, una rottura con la società; in tal modo si perviene ad un rapporto intimo con Dio, un rapporto assoluto con l’assoluto. Si ha, per questo motivo, il dominio della solitudine. A questo stadio di vita sono associati i termini paradosso e scandalo. Questo perché è posto l’interrogativo su come l’uomo possa sapere che, scegliendo la fede e rinunciando alla dimensione etica, possa essere eletto da Dio. Ciò è causa di angoscia, non essendoci una risposta certa a questa domanda, ma tale questione è superata sempre grazie a Dio, poiché è Lui che indica all’uomo la strada da percorrere. In tal modo l’uomo si tranquillizza e ciò giustifica il perché la fede sia l’antidoto alla disperazione. La fede è anche un paradosso, però, in quanto non si conosce esattamente la sua essenza. Per Kierkegaard la frase peggiore esistente è quella che Cristo rivolge a Giuda: ‘’Ciò che devi fare, affrettalo’’. Questa affermazione causa angoscia, poiché Gesù dice a Giuda di affrettare la sua scelta, generando in lui incertezza. Questo perché l’angoscia è radicata nel futuro in quanto vi è una corrispondenza tra il possibile e l’avvenire.

A proposito di curiosità su Kierkegaard, il danese non era proprio un sostenitore di Hegel, come si è potuto capire dalla sua filosofia. Riteneva, infatti, che la sua filosofia fosse pretenziosa e incoerente.

Nonostante il filosofo danese sia ad oggi considerato uno dei più noti, tra i moderni, a suo tempo non riscosse subito successo. Difatti, per esempio, il suo saggio ‘’Briciole filosofiche. Ovvero un poco di filosofia’’, il quale titolo è una frecciatina a Hegel, il quale elaborava opere considerevolmente ampie, è stato uno dei suoi flop clamorosi. Quando Kierkegaard fu a conoscenza della mal riuscita della sua opera ebbe una crisi tale da portarlo a chiudersi in casa per oltre sette giorni.

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Siamo poco erotici…
Di
Michela Conte -
14 Febbraio 2022

 

Altro che festa dell’amore: tocca tornare a innamorarsi!

È San Valentino, la festa degli innamorati. O dei cretini, dicono gli scettici, che forse sono solo invidiosi. O del consumo, dicono i saggi moralisti. Ed è subito gara di meme, post, commenti, riflessioni, pareri, conditi con impressionante acidità, scritti in competenzese moderno. Come è stato per il Festival di Sanremo, ma anche per Natale, per il black Friday, per Halloween: giorni e giorni di opinioni, accuse e difese improntate a un criticismo da fare invidia a Kant. Quello che è evidente è un irrefrenabile impulso a prendere la parola. O meglio, a digitarla.

Secondo recenti indagini, siamo un popolo intristito e arrabbiato: sarebbe questa la radice della propensione alla critica continua e del bisogno compulsivo di uno spazio di espressione, fondato sulla convinzione che certe cose, certi eventi e certe scadenze richiedano necessariamente il nostro intervento. Ma soprattutto senza il benché minimo dubbio.

Dubitare è un’arte e la sua etimologia parla di relazione: “dubbio” deriva dalla radice sanscrita dva- o dvi-, la stessa della parola “due”. Dubitare, in effetti, è abdicare alla certezza assoluta, fare i conti con il bivio, con la presenza di almeno due opzioni, due alternative, due possibilità. Non solo: questa dualità racconta la relazione come palestra di salutare dubbio, come esercizio di decentramento dell’io. Essere due nella relazione (non solo quella di coppia!) è dubitare della propria autosufficienza e competenza. Perché in ogni autentica relazione vi è di mezzo l’amore, la passione viscerale che confonde le convinzioni, l’attrazione integrale che mette in crisi le convenzioni, come suggerito dal sanscrito kama, che è all’origine di una delle possibili etimologie.

Un’altra etimologia della parola amore potrebbe essere legata al verbo greco mao, “desiderare”. Ma la più bella, che è anche la più discussa, dice che amore deriva da a-mors, cioè “senza morte”. Non è forse il desiderio di qualcosa che ci mantiene in vita? Non è forse la passione a sottrarci ai morsi mortiferi dell’esistenza? Ogni forma d’amore porta con sé il germe della nascita e della rinascita: per questo non possiamo farne a meno.

Ma l’amore, come la vita, è esigente. Esige quel decentramento prima citato. Le parole di chi ama non sono mai assertive. Il tono di chi ama non è mai netto. Perché chi ama è fragile: non debole, non insicuro, non passivo, non sottomesso, ma fragile, cioè non infrangibile, come i toni e i pareri delle nostre impietose critiche su tutto e tutti. Per questo mi viene da dire che, forse, siamo un popolo non solo più triste e arrabbiato, ma meno innamorato e meno predisposto a lasciarsi trafiggere dalle scintille della passione. L’avversione alla giornata di San Valentino racconta spesso un vuoto di eros nelle nostre esistenze, senza che il termine rimandi immediatamente all’esercizio della sessualità, che ne è un aspetto importante, ma pur sempre parziale.

Siamo poco erotici a casa, in cucina, al lavoro, al supermercato, in macchina. Siamo sempre troppo poco innamorati, troppo poco passionali: guardiamo poche albe, ci accorgiamo tardi dei tramonti. Non facciamo caso ai dettagli, alle rughe di espressione, alle sfumature delle voci. Non teniamo abbastanza ai nostri hobby. Non custodiamo come si deve il fuoco delle prime volte. Ci rattristiamo superficialmente e gioiamo con stucchevole pudore. Giudichiamo la rabbia e addomestichiamo il disgusto. E non piangiamo, mai! L’eros è anche questo e la sua mancanza è la genitrice della nostra tristezza, quella che ci spinge a voler colmare i vuoti a tutti i costi, quella che ci convince a parlare, parlare, parlare sempre e su tutto, quella che ci disinnamora dei silenzi dovuti e dei dubbi salvifici.

Allora, quello che mi auguro e auguro a tutti, per questa giornata e per quelle che verranno, è di ricominciare a innamorarsi di cose, animali e persone, a partire da quelle vicinissime e inevitabili. Di essere due (almeno) in ogni dove e in ogni quando. Di partire dal dubbio dell’autosufficienza per culminare nel dubbio del parlare, del commentare, del criticare. Di ripulire la nostra idea di erotismo da ogni distorsione e di recuperarne la portata esistenziale. Perché di mezzo vi è la nostra felicità. Perché, per citare un noto monologo di Benigni, “se non ci innamoriamo è tutto morto”. E il continuo metter bocca su tutto è un indiscutibile accertamento di morte interiore e relazionale.

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(Leggo)
Lc 10,1-9
«Pace a questa casa!»

 

In questa pagina l’evangelista Luca sembra voler fornire un piccolo manuale del missionario. Ma anche noi che non siamo direttamente chiamati a lasciare la nostra terra per annunciare il vangelo in terre lontane possiamo ricavare alcune preziose indicazioni per viverlo sempre più in profondità.

 

(Prego)
Coloro che il roveto ardente ha conquistato,
son radunati attorno a te nel Regno eterno,
nella sete han cercato il tuo volto di luce,
solo te han seguito, ora vivono in te.

 

(Agisco)
Parlerò di Gesù a qlcn,lo incoraggerò e parlerò di pace.
 

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La felicità è un dono, prima che un merito (Purgatorio XXX) 

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Sinergia tra azione giuridica e dimensione pastorale 

 https://www.odysseo.it/sinergia-tra-azione-giuridica-e-dimensione-pastorale/ 

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Era mia madre 

 https://www.odysseo.it/era-mia-madre/ 

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Ogni giorno, ma veramente ogni giorno, c’è qualcuno che mi scrive su WhatsApp oppure (che è peggio) mi telefona, solo per dirmi che "ti ho mandato una email, l’hai letta?”. Come se Internet prevedesse anche la telepatia, come se fossimo dotati di un chip capace di leggere automaticamente tutte le email che riceviamo.

Io da qualche tempo leggo le email solo due volte al giorno. Come se mi venissero recapitate da un postino immaginario. Come se fossero le lettere di una volta. Non è snobismo, è difesa personale. Quando l’email arrivò davvero nelle nostre vite, diversi anni dopo essere stata inventata, fu una liberazione: la liberazione dai francobolli. Dalle buche delle lettere. E dalle attese infinite. In quel tempo passavano giorni, non sapevi mai quanti, prima che la tua lettera arrivasse al destinatario. Con le email è diventato tutto istantaneo. Il problema è che abbiamo iniziato a scriverne troppe.

E se uno dovesse interrompere quello che sta facendo ogni volta che riceve una email, durante la giornata farebbe solo quello: leggere le email. Ma così la concentrazione e la creatività si azzerano. Questa immediatezza, preziosa, è quindi diventata un problema del quale molti discutono in cerca di soluzioni. Eppure tutti i tentativi di rallentare la vita digitale, di favorire la nascita di una Slow Internet come abbiamo lo Slow Food, sono naufragati.

Qualche tempo fa, un tale si era inventato una startup che consente di mandare e ricevere le email una volta al giorno. Non è andata benissimo. Ma non era una cattiva idea. Il postino digitale nelle mia casella email bussa solo due volte al giorno. E riesce a vivere meglio.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Cari genitori No Vax https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/lettere/2022/02/11/cari-genitori-no-vax/?ref=RHTP-BC-I270682881-P17-S2-T2&__vfz=medium%3Dsharebar 

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Conoscevo come molti di voi la spettacolare storia di Filippo Bernardini, 29 anni, da Amelia provincia di Terni. Assunto a Londra all’ufficio diritti di una importante casa editrice americana l’uomo è riuscito per anni a farsi inviare preziosi pdf di libri non ancora usciti e coperti da embargo come segreti di Stato. Era competente, usava il linguaggio appropriato e si serviva di indirizzi mail ai quali cambiava una lettera: nessuno per moltissimo tempo si è accorto di nulla.

E’ ora sotto processo a New York, rischia da due a venti anni di carcere. Resta tuttavia misterioso il motivo per cui Bernardini volesse avere i libri in bozze. Non ne faceva commercio, non chiedeva riscatti, non ne traeva insomma nessun beneficio economico. La giudice che segue il caso ha commentato incredula: “Dunque voleva leggerli prima che fossero pubblicati? Interessante”. Non so se nella giurisprudenza Usa l’amore per la letteratura e l’impazienza costituiscano attenuanti. Se sia meno grave una truffa con un movente nobile, senza fini di lucro. Sarebbe romantico.

Notevole, nell’articolo di Arianna Cavallo sul Post, la conclusione. Un trauma infantile come ipotetica causa scatenante. E’ possibile difatti che sia Bernardini l’autore del libro “Bulli” firmato Filippo B., edito da Mursia. Un memoir in cui l’autore racconta di essere stato bullizzato da piccolo e di essersi “salvato” così: “Oggi cerco di stare al centro dell’attenzione mostrando qualcosa che gli altri non hanno”. Il grande tema del trauma segreto, senza il quale è ormai impossibile disporsi a vedere un film o leggere un libro. Sta tutto lì, freudianamente, nei primi dieci anni di vita. Che sollievo, per tutti, che inappellabile condanna.

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