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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo)

Marco 10,28-31

<<...non c'è nessuno che abbia lasciato...e che già ora riceva cento volte tanto...>>

 

Lasciare tante cose per seguire sogni e desideri...ma poi la ricompensa? Nulla, semplicemente percorrere la strada della gratuità e del servizio. Qui e ora puoi costruire la vita eterna. No orgoglio e presunzioni, bensì accogliere la carità di Cristo!

 

(Prego)

O buon Pastore che ci guidi
tu ci hai fatto per la luce
e oltre questo breve giorno
ci conduci al giorno eterno.

 

(Agisco)

Esame di coscienza per comprendere dove migliorare in Cristo davanti ai fratelli

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Per ferire a morte basta poco

 
 
 

E se deponessimo tutti le armi?

“Spesso il male di vivere ho incontrato”: penso a questi versi di Montale nell’ultimo periodo, mentre tra i corridoi della scuola incontro la sofferenza patologica di giovanissimi studenti, presi da pensieri di morte. C’è chi a 14 anni la desidera e basta; chi a 15 ha salvato sua madre dal suicidio; chi a 16 piange quella, tragica, dei propri familiari; chi a 17 fa avanti e dietro dal reparto di rianimazione a sperare che qualcuno si svegli. C’è chi parla, racconta, si sfoga almeno. E chi si chiude inesorabilmente, innalzando muri impenetrabili e sancendo mutismi più che selettivi. In entrambi i casi la sirena dell’emergenza suona altisonante.

“Perché dovrei smettere di vomitare? Vomitare mi fa star bene: è la gente che mi fa del male, non la bulimia”: me la porto addosso questa confessione. Mi fa pensare. Mi fa tremare. È il compendio di tutto il male odierno: il male di vivere per il male che l’altro può non solo causare, ma essere. È il monito a pesare parole e azioni, ad esagerare nelle accortezze, a convertirsi definitivamente all’empatia, a fare dei dettagli la cifra della propria morale quotidiana, a dare carne alle teorie stampate su carta. Perché per ferire a morte basta poco: sia che si tratti di singole persone, sia che si tratti di intere popolazioni: una guerra si consuma sotto i nostri occhi increduli, quelli che cercano riposo, dopo due anni a fare le veci dell’intera mimica facciale, dopo due anni a farsi carico di relazioni distanziate. Gli anni della pandemia, gli anni della fragilità estrema. E non c’è pace, ci sono solo assurdi sogni di nazionalismi passati al prezzo della morte, della violenza, delle marce, delle bombe.

 

Si combatte su più fronti, insomma. E se deponessimo tutti le armi? Certo, è urgente che le depongano anzitutto coloro che hanno responsabilità di equilibri mondiali. Ma forse è bene che le deponga chiunque pensi di guadagnare vita, combattendo. Il verbo non funziona, anche se combatti per difenderti. Anzi, quella difesa suggerisce che l’altro o la situazione sono ancora dei nemici e che tu sei ancora armato. Ci vuole un’altra strategia. C’è bisogno di una tattica diversa. Perché non ci sono armi buone e per amore non si combatte. Al massimo si lotta. La lotta contiene l’idea del greco lygo, “piegarsi”, e rimanda a un esercizio corpo a corpo, in cui si è nudi e l’unica armatura è la propria carne.

Non voglio suggerire, ovviamente, di deporre le armi per iniziare a fare a botte, con la vita, con il lavoro, con i problemi, con gli altri. È un invito a non corazzarsi, ad alleggerirsi, a restare più nudi e più indifesi, non per subire il male, ma per affrontarlo in maniera meno bellicosa e più umana. Così, invece di “armarci” di pazienza per ascoltare mille problemi, di educazione per evitare rispostacce, di contenuti che possano glorificarci sul lavoro, di forza per sopportare, potremmo semplicemente “lottare”. Lottare con pazienza, con educazione, con professionalità, con forza, che nella lotta non sarebbero armi o bombe, ma bandiere di leggerezza, sinfonie di apertura, addestramenti di umanità matura. Quella che il male lo mette in conto, magari lo accoglie, ma senza subirlo e senza rassegnarsi. Quella che non ha rinunciato alla forza, ma alla violenza. Quella che ha non solo il coraggio di cogliere le cose da cambiare, ma anche la sapienza di distinguerle da quelle che vanno mollate.

Lottare, in effetti, insegna a non scambiare qualsiasi cosa come un obiettivo, qualsiasi persona come il nemico e qualsiasi causa come meritevole delle nostre energie e lo insegna nella misura in cui demilitarizza l’esistenza. Perché se la corazza cade e le armi scompaiono, resta solo la pelle, resta l’essenziale. E si può smettere di combattere e iniziare a lottare solo se si ha una chiara visione dell’essenziale, proprio e altrui.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

I BAMBINI CHE CONOSCONO LA GUERRA

 
 
 

In quanti secondi siamo ormai capaci di liquidare decine di morti e centinaia di feriti e di parlare d’altro: questo, secondo me, è il nocciolo del problema, cioè quanti secondi ci mettiamo oggi a digerire decine o centinaia di morti, per incominciare, poi, a buttarci, ciascuno, le sue elucubrazioni politiche. Io invece credo che convenga continuare a riflettere sui morti e i feriti, perché credo che siano l’unico contenuto della guerra; del resto, cioè di quale regime sostituirà il regime precedente, di chi sarà il vincitore di turno, almeno per qualche istante o per qualche mese, non ci trovo grande fascino a discuterne, non mi interessa neanche molto. Quello che mi sembra importante è che incominciamo tutti quanti a cercare di pensare e di confrontarci per vedere se, per caso, tutto quello che abbiamo dato per scontato su questo argomento della guerra non sia suscettibile di essere rimesso e rivisto  e non si riesca invece magari a disegnare anche alternative possibili, perché alternative possibili esistono, io credo, esistono già oggi, sono praticabili, sono sperimentabili, credo anche che Emergency nel suo piccolo lo faccia e credo che questo sia l’unico approccio che ci può portare un pochino più distante dal baratro a cui ci stiamo avvicinando a lunghe falcate.

(Gino Strada)

Anatol ha dieci anni e un cuore di leone. È stato abbandonato dai suoi genitori quando ne aveva solo due; lo hanno lasciato da solo nel vano dell’ascensore di un anonimo palazzo del centro urbano di sera, dicendogli che stavano facendo un gioco. Le porte si sono riaperte una, due, tre volte ma di mamma e papà nemmeno l’ombra. Ha urlato, Anatol, ha strillato più che poteva, ha invocato la sua mamma, dagli occhi di cielo come lui, ma lei non è più tornata a riprenderlo. Solo. Abbandonato.

 

Yegor ora è cresciuto, è ormai un giovane pieno di entusiasmo e di allegria. Sempre pronto ad aiutare i suoi amici, suoi fratelli, in realtà, perché con loro condivide ogni istante della sua vita nonché i suoi punti di riferimento, i padri Salesiani che lo hanno accolto quando è stato trovato, quando ancora non era in grado di parlare, gettato, come merce avariata, in un cassonetto della spazzatura. Non può più vedere il mondo che lo circonda poiché è molto probabile che gli siano state asportate le cornee da piccolino, vendute sul mercato  del traffico d’organi.

Alina con molta difficoltà ha imparato a parlare perché sin dai primi mesi di vita ha sperimentato la solitudine: sua madre, il suo unico punto di riferimento, era tossicodipendente e non si accorgeva nemmeno che sua figlia era lì con lei e dipendeva completamente dalle sue cure. Piangeva, piangeva a sfinimento, Alina, ma nessuno arrivava a sfamarla, ad accudirla. Un giorno i vicini di casa, stremati ed affranti per quanto erano costretti ad assistere, hanno chiamato la polizia e la piccina è stata condotta in orfanotrofio, dove si trova ancora oggi.

Larisa in orfanotrofio ha perso l’udito a causa di una malattia non curata a tempo debito. Oggi ha tredici anni e sta studiando per diventare sarta. Non riesce a sentire il rombo del motore degli aerei che in questi giorni sfrecciano nei cieli dell’Ucraina né il boato delle bombe che cadono a ritmo incessante ma avverte tutto il terrore negli occhi di chi la circonda che diventa il suo stesso terrore muto e implacabile.

Anatol, Yegor, Alina, Larisa conoscono la guerra perché la stanno vivendo sulla loro pelle. Come loro ci sono almeno altri centocinquantamila bambini abbandonati in Ucraina, il “Paese degli orfani”, come è stato definito da qualcuno, dei quali settantamila internati in istituto; pare che solo a Kiev vi siano tra i cinquemila e i diecimila bambini abbandonati che vivono in orfanotrofio ed un numero non noto di bambini che vivono per strada. Sono i più fragili di tutti: non hanno una madre né un padre che li ami, non hanno cibo, casa ed ora c’è la guerra.

«La guerra piace a chi non la conosce», diceva Gino Strada, «ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, sono persone che non hanno mai imbracciato un fucile, sono persone che molto spesso non sanno neanche perché gli scoppia una mina sotto i piedi o gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e dai potenti che poi ci mandano a morire i figli dei poveri: questa è la realtà».

La guerra è male in sé; aiutare chi soffre, chi ha bisogno, è giusto, si deve e si può fare. La guerra non è inevitabile, è un problema da risolvere, non certo un destino che deve compiersi. Un mondo senza guerra non è un’utopia, è realizzabile.

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Vincere senza uccidere

 
 
 

«Vincere senza uccidere, come nello sport, è l’opposto di uccidere senza vincere, come in una guerra.

E sembra elementare»

(Acca)

Leggo il post di turno: “Putin ha avuto il potere di sconfiggere il Covid in due giorni”.

In realtà, Putin non ha fatto altro che dimostrare, ove ce ne fosse stato bisogno, quanto ognuno di noi e ognuna delle nostre mosse, opinioni, espressioni, abbia per noi stessi, il peso della carta velina.

 

Leggo l’Ansa: in un bunker sotto assedio è nata una bimba. Mia.

Il Covid e la vita , dunque, sono le uniche “cose” che non hanno nessuna paura. Nemmeno di Putin.

Ed ecco che il Covid, ben oltre le nostre chiacchiere, non è certamente scomparso e lo vedremo quando sarà il momento.

Allo stesso modo, ben oltre il nostro odio, la vita continua a nascere e la vediamo sorgere in mezzo alle macerie umane.

Uno da combattere, l’altra da difendere. In mezzo, la guerra. Quella da estirpare.

Così, annidate, le mie livide speranze.

Che Dio ci aiuti.


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donmichelangelotondo più di un mese fa

Vincere senza uccidere

 
 
 

«Vincere senza uccidere, come nello sport, è l’opposto di uccidere senza vincere, come in una guerra.

E sembra elementare»

(Acca)

Leggo il post di turno: “Putin ha avuto il potere di sconfiggere il Covid in due giorni”.

In realtà, Putin non ha fatto altro che dimostrare, ove ce ne fosse stato bisogno, quanto ognuno di noi e ognuna delle nostre mosse, opinioni, espressioni, abbia per noi stessi, il peso della carta velina.

 

Leggo l’Ansa: in un bunker sotto assedio è nata una bimba. Mia.

Il Covid e la vita , dunque, sono le uniche “cose” che non hanno nessuna paura. Nemmeno di Putin.

Ed ecco che il Covid, ben oltre le nostre chiacchiere, non è certamente scomparso e lo vedremo quando sarà il momento.

Allo stesso modo, ben oltre il nostro odio, la vita continua a nascere e la vediamo sorgere in mezzo alle macerie umane.

Uno da combattere, l’altra da difendere. In mezzo, la guerra. Quella da estirpare.

Così, annidate, le mie livide speranze.

Che Dio ci aiuti.


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donmichelangelotondo più di un mese fa

 

PROTESTARE CONTRO IL DITTATORE PUTIN È DA VERI CORAGGIOSI...

Solidarietà in tutto il mondo, manifestazioni, veglie e proteste

In mezzo milione a Berlino per la pace. Proteste contro la guerra a San Pietroburgo. Dal 24 febbraio sono oltre 4500 i manifestanti arrestati dalla polizia russa

 

© EPA FOTO
 
 

Una marea umana attraversa il cuore di Berlino, per la pace.

Mezzo di milione di persone hanno manifestato nella capitale un tempo divisa dal muro.

 

Lo slogan è inequivocabile "Stop war!". Centinaia di migliaia di tedeschi, arrivati da ogni regione della Germania, e persone di ogni nazionalità hanno sfilato oggi fra bandiere ucraine e delle pace. Un corteo che si è esteso a macchia d'olio, superando i km previsti dagli organizzatori che aspettavano 20 mila persone: dalla colonna della Vittoria fino alla Porta di Brandeburgo.

La manifestazione di Berlino

Nuove proteste contro la guerra in Ucraina si stanno tenendo a San Pietroburgo, in Russia. La polizia sta sgomberando i manifestanti, secondo quanto si vede dalle immagini tramesse dalle televisioni internazionali. Un totale di 4.552 persone sono state arrestate dalla polizia russa nel corso delle manifestazioni di protesta contro l'invasione dell'Ucraina a partire dal 24 febbraio. Lo riporta il sito indipendente OVD-Infogruppo che si occupa della tutela dei diritti umani in Russia. Solo oggi sono oltre 900 le persone fermate durante le proteste che si sono tenute in 44 città in tutta la Russia, da Mosca alla Siberia.

Studenti, metalmeccanici, agricoltori muniti di trattori, pescatori, allevatori con i loro animali al seguito, sindacalisti, collettivi, centri sociali, politici, religiosi, musicisti, persino il mondo del calcio: un fiume di persone è sceso in piazza da nord a sud Italia e in tutto il mondo per esprimere vicinanza all'Ucraina e al suo popolo e condannare la guerra e chi l'ha causata.

 A Roma si è riempita piazza del Campidoglio per la fiaccolata per la pace organizzata dal sindaco Roberto Gualtieri, e alla quale hanno partecipato anche le opposizioni, che si è poi mossa in corteo verso il Colosseo.

La Tour Eiffel a Parigi e molti monumenti in Italia e in Europa sono stati illuminati con il giallo ed il blu della bandiera ucraina o spenti in segno di lutto e di solidarietà, mentre piena di simboli è stata la manifestazione che si è svolta nel centro di Sarajevo: 'Sarajevo 1992 - Kiev 2022', ''Non abbandonate l'Ucraina come avete fatto con la Bosnia" sono stati gli striscioni mostrate dai manifestanti della città simbolo di quella guerra.
New York, l'Empire State Building illuminato con i colori della bandiera ucraina

 

 

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donmichelangelotondo più di un mese fa

(Leggo)

Marco 10,17-27

<<Cosa devo fare per avere la vita eterna?>>

Se sapremo essere come bambini...se sapremo donare tempo e cose materiali...che fare la sua volontà significa anche essere fiduciosi della sua misericordia. Essa è importante per non farci abbagliare dalle cose effimere e di passaggio...

 

(Prego)

Beato chi è preso dalla tua bellezza
Gesù Signore
il suo cuore vede in ogni uomo
riflesso il tuo volto.

 

(Agisco)

Svestirmi di materialità e rivestirmi della sua luce!

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donmichelangelotondo più di un mese fa

Chi me lo fa fare? (Purgatorio XXXII)

 
 
 

«Però, in pro del mondo che mal vive, 
al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, 
ritornato di là, fa che tu scrive»

(Purgatorio XXXII, vv.103-105)

Più ci avviciniamo al Paradiso, più facciamo fatica a seguire Dante, tanto la sua scrittura si fa carica di riferimenti allegorici.

In questo trentaduesimo canto, dopo essersi saziato della vista di Beatrice, Dante osserva che la processione si è rimessa in moto, con una sorta di inversione di marcia, per spingersi verso Oriente. Dante, Matelda e Stazio la seguono finché non s’arresta davanti ad un gigantesco albero a forma di cono rovesciato, ma privo di foglie. Pare sia l’albero di Adamo che in effetti viene nominato. Non appena il grifone vi lega il carro, l’albero rifiorisce e Dante, non saprebbe neanch’egli dirci come, cade in preda ad un sonno profondo.

 

Al suo risveglio, la scena è cambiata. Il grifone ed il suo corteo lasciano l’Eden per ritornare in cielo, mentre Beatrice invita Dante a fissare con attenzione ciò che sta per accadere così che possa poi scriverne «in pro del mondo che mal vive» (v.103), ovvero per il bene del mondo che vive immerso nel male.

Seguono tre incursioni: di un’aquila che lascia delle sue penne sul carro, di una volpe famelica che Beatrice volge in fuga, di un drago che con la coda arpiona parte del carro e se la porta via. Interpretazione comune: l’aquila e le sue penne sono figura della falsa “donazione di Costantino”, la volpe rappresenterebbe le eresie, il drago lo scisma.

Ma la scena non è finita. Il carro prima si ricopre interamente delle penne lasciate dall’aquila e poi si trasforma sino ad essere occupato da sette corna, allegoria dei peccati capitali, e da essere sormontato da una meretrice che amoreggia con un «feroce drudo» (v.155), il quale scioglie il carro dall’albero e lo trascina insieme alla prostituta nella selva. Il carro coperto di corna rappresenterebbe la corruzione della Chiesa che si è data al potere temporale, la meretrice rappresenterebbe la curia papale e il gigante che porta carro e donna nella selva, sino a sottrarli agli occhi di Dante, sarebbe allegoria di Filippo il Bello e dello scisma di Avignone.

Già a farne un breve riassunto si fa fatica: immaginiamo quanto sia stato arduo concepirlo e scriverlo. Ecco perché, al termine di questa lettura, ho provato a calarmi nei panni di Dante e mi son chiesto: “Ma chi glielo ha fatto fare?”.

In realtà, è una domanda che a tutti, prima o poi, capita di rivolgere: “Chi te lo fa fare?”; o anche: “Chi me lo fa fare?”.

È l’interrogativo tipico di chi vorrebbe scorrere in questa esistenza aggirando gli ostacoli, filando liscio e viscido come l’olio, pur di non farsi nemici e fuggire i problemi. Al contrario, ogni volta che si parla e si scrive, ci si assume responsabilità. Ci si espone a ritorsioni di vario genere, lecite e illecite. Tocca attraversare preoccupazioni.

Dante ne sa qualcosa: la Chiesa e l’Impero che attaccava frontalmente avevano potere di vita o di morte, erano un nemico assai pericoloso. E allora vien spontaneo chiedersi: “Chi glielo ha fatto fare? Non sarebbe stato meglio girarsi dall’altra parte e vivere in santa pace?”.

Ecco, Dante a questa domanda risponde: in pro del mondo… Chi non riesce a star zitto, chi sfida la «puttana sciolta» (v.149) e il suo «gigante» (v.152), quali che essi siano, lo fa perché animato dal desiderio di essere “in pro”, cioè di giovare, di far del bene. Peccato che questo il più delle volte venga preso per un “essere contro”. Ma questa è un’altra storia. Talvolta a lieto fine, ma sempre con un suo prezzo.

Confucio: «Sapere ciò che è giusto e non farlo è la peggiore vigliaccheria».

Gibran: «Donerete ben poco se donerete i vostri beni. È quando fate dono di voi stessi che donate veramente».

Martin Luther King: «La domanda più persistente e urgente della vita è: “Cosa stai facendo per gli altri?”».

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