Libero

natodallatempesta0

  • Uomo
  • 50
  • Trinacria
Bilancia

Mi trovi anche qui

Profilo BACHECA 260

natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Ieri un viaggiatore, mi ha domandato se mi interesso di spiritualità?

 

Sì! Un viaggiatore. Perché anche qui, la natura degli utenti si manifesta e identifica dal tipo di cammino che si intraprende.
Un viaggiatore, raccoglie esperienze ed ha sempre una strada in mente. Sono, di solito, ottimi compagni di riflessione. Gli utenti migliori qui dentro, i più interessanti e ricchi in un certo senso, perché condividono esperienza, il problema al massimo può esser la forma di condivisione che può in alcuni casi (pochi) esser criptica.
Ci sono poi: gli osservatori e i disturbatori o molestatori (la piaga di questo comunità, perché nella maggioranza sono sciacalli travestiti da pecore).

 

Se devo usare questa logica per definirmi, userei il termine: Ramingo.
Dall’antico ramenc: “che va di ramo in ramo”, ossia che va errando senza meta.
Ed io come un ramingo, per sorte, per irrequietezza, per una sorta di spiritualità avversa, mi ritrovo ad errare senza volerlo, senza un luogo preciso da visitare.

 

Ramingo nella mia terra.

 

Per rispondere all’amico viaggiatore.
Chi non ha mai puntato gli occhi verso la spiritualità?
Primo o poi tutti si trovano dinanzi ad un’altare, a d’espiare un dolore.
Perché è il dolore che richiama lo spirito e quando si rimette tra le mani, un’anima sofferente, si ci ritrova a mani giunte a pregare.

 

La preghiera. Vero simbolo di spiritualità.

 

Non ho avuto da bambino un buon rapporto con le figure religiose, sia mio padre, che mia madre non hanno mai fatto cenno agli insegnamenti religiosi. Mio padre nelle poche volte che ha accennato il discorso, ha palesato un marcato scetticismo, mentre mia madre ha dimostrato di avere fede, ma quella fede dottrinale che si accetta per cosa fatta, senza un’intima comprensione dei reali valori che nascondono le parole.

 

Le scuole primarie le ho frequentate presso un istituto religioso, un oratorio per esser precisi, dedicato a San Giuseppe, oggi non più esistente (per fortuna) e quello che ricordo di quelli anni, sono le sberle del prete e preside della scuola, i ceci sulle ginocchia e un cupo e inquietante Cristo intrappolato in una buia stanza, poi scoperto esser la cappella della scuola.

 

Mia nonna, finché era in vita ha provato con i propri mezzi a insegnarmi che significa credere, non aver fede, ma che significava per lei esser cattolica e credente.
Ed ho trovato, una consapevolezza postuma, grande saggezza nel suo avvicinarmi alla fede, perché non ha imposto, né detto: così si fa.
Questo! Mi ha lasciato il cuore libero. Quando poi gli studi mi hanno avvicinato alla filosofia e alla storia, leggendo e approfondendo, sono riuscito a costruire una mia comprensione della fede e dell’amore.
Questo, oggi, mi porta ad affermare che c’è spiritualità in tutte quelle confessioni (per restare in tema) che servono alla nostra anima per comprendersi.
In un certo modo e qui, spero di non esser blasfemo e non urtare nessuna sensibilità, si vive una trinità terrena che trova luce in tre parole: Fede, Amore e Vita. Se ami qualcuno e vivi la vita con la fede verso il legame tra te stesso e l’altra o l'altro, sei in spirito, mente e corpo, vicino a Dio, indipendentemente da qualunque volto o nome sia dato a quel Dio.

 

La spiritualità intesa come interesse verso la natura divina delle cose, invece, è ben diversa e racchiude secondo me un’interesse intellettuale delle persone, che trascende la curiosità verso un senso di scoperta che è più mentale, empirico in alcuni casi, che passionale ed emotivo.
Vivo questo aspetto, più come una ricerca del buono c’è in giro o c’è stato.

 

In questo i testi sacri sono miniere d’oro, ma anche molti esempi di vita comune e non comune, che sono trascrizioni su cuore di gesti e atti d’incommensurabile amore.

 

Chissà, se sono riuscito a dare una risposta alla domanda dell’amico viaggiatore?

 

 

 

Ti piace?
5
natodallatempesta0 più di un mese fa

Oggi per un impegno sono uscito di casa prima del sorgere del sole, vivendo in un paesino, alcune necessità che non trovo dove vivo, come già sottolineato, richiedono lo spostamento verso la città.

 

Mi sono ritrovato, quindi, a vivere il passaggio dal buio della notte alla luce del giorno: L’alba.

 

Capita spesso e quando un evento è ripetitivo, tende a perdere importanza, interesse, diventa abitudine, non ci si fa più caso.

 

Il buon Einstein diceva: “Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti.”

 

Oh cielo!!! Sono uno zombi e non lo sapevo!!!!!! 🙂

 

risateScena ripresa dal film: Fra Diavolo.


E invece no!!! Oggi per la prima volta dopo tempo, dopo tante volte che faccio questa strada, mi sono fermato ad ammirare l’alba. La fugacità di quel momento mi ha spinto a bloccarmi ed ascoltare l’istante.

 

Forse è per questo che gli inni alle meraviglie del sentire si chiamano: Odi.
 

La poesia vissuta nella sua integrità di voce, di vista e udito.
La suggestione è ancora più marcata perché c’è il mare a far d’orizzonte alla nascita del sole, lo specchio vivo espande e riflette tra le nuvole la luce che piano piano costringe il buio a svanire, annichilato da tanta potenza.

 

7 Novembre 2022

 

Potrei fermarmi qui e non scrivere altro, il post tutto sommato è carino, con quel pizzico di poesia in più, che basta a regalare una piccola emozione.

 

Ma qualcosina, ancora, avrei da dire su quell’essere zombi.

 

la-notte-dei-morti-viventiScena ripresa dal film: La notte dei morti viventi.


Perché è facile, quasi scontato, riportare quella sensazione nella quotidianità, riflettere e scoprire quello che già sai, che a forza di baciare la nostra compagna o nostro compagno, di far l’amore, tutto diventa ripetitivo, perde interesse e piano piano un giorno non ci fai più caso.

 

Quasi, quasi al ritorno le compro un bel mazzo di fiori, non c’è nessuna ricorrenza e forse proprio per questo avrà più valore, lo stesso di quell’alba appena passata.

Ti piace?
6
natodallatempesta0 più di un mese fa

sindrome-anton

 

Sapete quando si comincia a capire che non si è più giovani?

 

Io l’ho capito nel momento che mi sono ritrovato nel comodino due astucci, uno per gli occhiali da lontano, uno per gli occhiali da vicino.

 

Ho avuto bisogno degli occhiali fin da giovanissimo ed è stato per la mia indole, lento, il processo di accettazione. Agli inizi non li indossavo se non a casa quando dovevo studiare.
Provavo vergogna, ero giovane, 14 anni. un’età piena d'incertezze e scoperte.
E seppur ero attento e tra quelli più bravi, tanto da esser etichettato e inserito tra i secchioni della classe, per la massa ero il ragazzo silenzioso, non tanto sveglio, imbranato.
Sapevo che se mi fossi presentato a scuola con gli occhiali da vista, sarei stato preso in giro e questa consapevolezza, questa paura, scaturiva dal fatto che già quotidianamente, bastava per provocare lo scherno, il mio modo di parlare, la mia capigliatura e i miei vestiti, anche se non erano poi differenti da quelli indossati dal resto dei miei compagni, solo che io li indossavo male :-).
Ad un certo punto, però, ho dovuto per necessità di cose e salute, indossarli, da quel giorno non li ho più tolti.

 

Se dovessi, quindi, definire quegli anni e scegliere un termine per descriverli, non userei parole positive, non userei ad esempio il vocabolo: “felicità”, purtroppo. E devo scrivere con rammarico che sono state più cattive la compagne, seppur non abbiano mai usato violenza fisica, come è capitato qualche volta con i maschietti e me ne dispiace, perché la donna merita per la sua storia un incondizionato sostegno.

 

La parentesi aperta sulla mia adolescenza doveva esser più breve, ma va bene, scrivo quel che mi sento e non m’importa dei giudizi, delle banalità che possono scaturire da chi vede in quel che scrivo un prosaicismo o prolissismo un pò marcato.
Oggi, non potrei fare a meno degli occhiali, di tutti e due. 🙂

 

 

Per chi è abituato a leggere e ha basato e basa il proprio lavoro su questo e in generale sul leggere qualunque cosa è trascritta o disegnata su un foglio di carta, la vista è fondamentale.
E se non si preserva non si può godere della lettura di un buon libro, magari la sera, come alternativa alla tv, allo sproloquio sempre più vivo e irritante che essa presenta ai suoi spettatori.

 

Ieri ne stavo continuando uno: Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro.

 

Ho sempre amato i racconti con un pò di irrealtà dentro, quella che va oltre il presente e sfida le regole e le dinamiche del futuro. Ieri leggendo mi sono ritrovato a riflettere sulla cecità.
Da qui, forse, lo spunto che mi ha portato alla parentesi degli occhiali. Una cecità fisica ma non solo.
Una cecità verso ciò che conosciamo, che apparentemente vediamo come chiaro e limpido.
Mi rendo, invece, conto che sono cieco verso tante realtà, tante superfici che una volta toccate mi portano a scoprire facce nuove, substrati che non avevo neanche idea, fossero lì.
Il problema è, che sono convito che quella superficie è, come la vedo e arrivo anche a litigare per sostenere che è così come la guardo. Per poi renderti conto che sono un’idiota e litigo ancora, perché l’orgoglio mi porta a giustificare, ciò che era il mio pensiero, la mia convinzione.
Ma credetemi cerco di arrivare a quello spazio comune che porta alla riconciliazione, indipendentemente dalla superficie infranta, ma a volta giunge prima il BASTA, finiamola qui.
E dopo ho la sensazione di ritrovarmi in un futuro diverso.

 

 

Ti piace?
6
natodallatempesta0 più di un mese fa
img-sentieri-05
 

Anche questa notte è stata insonne, la causa questa volta è però esterna.

 

Rumori molesti, ma non troppo.

 

Tuoni, lampi e fulmini.
Un bel temporale, iniziato verso 1:45 e conclusosi più o meno verso le 3:30.
Il cielo non è stato l’unico a farsi sentire, però, il rombo del mare si udiva forte e chiaro, a vederlo, poi, faceva paura. Dire che è stato uno spettacolo della natura vedere le onde alzarsi in cielo è, forse, banale, ma è stato così. Per chi vivi in costa è una vista abituale naturalmente, ma fa sempre effetto.

 

È mia abitudine ogni fine settimana uscire di buon mattino, 6:30 più o meno, per andar a far spesa. Oggi, posso dire che è stata una bella tirata, fino al sorgere del sole. Dal mio paesino mi sposto verso altri paesini limitrofi, per andare in quegli esercenti che il tempo mi ha fatto conoscere e apprezzare e di cui sono diventato, poi, cliente fisso. E così zampettando come una lepre, mi ritrovo a viaggiare tra stradine e piccole piazzette di paese.
Il primo a cui faccio visita è il fornaio.
Fino a qualche anno fa, a servire il pane, pane casereccio, niente a che vedere con il pane bianco che si trova in centro città o nei supermercati, c’era una vecchietta, nella zona molto conosciuta, nonna Lucia, oggi, c’è il nipote.
L’odore del pane appena sfornato è qualcosa di straordinario, vista l’ora in cui vado è caldo e fumante e quell’aroma è magico, perché mi porta in mente ricordi fanciuleschi, ricordi di nonni.
Dopo passo dal pasticcere, la mia compagna se non ha la colazione appena sfornata non si alza dal letto. Raviola con la ricotta, ne va matta.
È una pasticceria antica e conosciuta nella zona, quindi, se arrivi troppo tardi c’è il rischio di non trovare nulla.
Quindi, a volte mi trovo dietro la porta della bottega, che ancora nulla è stato sfornato, ordino e poi ripasso.
Un’altra visita fissa è la fruttaiola, in realtà non è una vera e propria attività. La signora dietro casa ha una campagna con un bellissimo orto, e tanti alberi da frutto. quindi, si è attrezzate per vendere quello che la terra gli dona. Qui, sì che posso dire dal produttore al consumatore, prodotti genuini, ovviamente non trovi tutto e quel che trovi segue le stagioni, ma mi fa pensare che noto in termini di qualità e gusto una differenza enorme tra un pomodoro comprato da lei e uno acquistato al supermercato.

 

Devo dire che queste passeggiate settimanali per me sono, rilassanti, nonostante sto in macchina parecchie ore.
Non c’è frenesia, non c’è grande traffico a volte per niente, c’è invece un movimento lento e quasi antico, nelle attività che si aprono, nei vecchietti che si vanno lentamente a posizionare nelle piazzette.

Oggi ho anche notato per la prima volta, le foglie vestite d’autunno.

 

IMG_7928
L’autunno è la stagione che più amo, quelle a cui sono più legato per tanti motivi, quello più scontato è che sono nato in autunno, in Ottobre. Poi i colori! Rosso, giallo, arancione, ocra, se è vero che abbiamo tutti un sottofondo musicale preferito, è altrettanto vero che abbiamo anche una tinta, un colore, preferito e il mio è in tutte le sfumature del rosso fino quasi a sfiorare il giallo.

 

 

Ti piace?
7
natodallatempesta0 più di un mese fa

Scrivendo di poesia, di amore, di perdono c’è il rischio, come ho già avuto modo di esprimere in molte riflessioni, di cadere nella retorica e nella generalizzazione.
 

Ma poco importa, il bello è proprio questo.

 

Nella scelta del cammino, non si guarda in faccia nessuno, questo perché non c’è nessuno attorno.

Ora, la retorica sul cammino, sulla via, è piena di luoghi comuni e frasi fatte. Tutte legate alla scelta e all’ideologia che porta alla scelta.
 
Il cammino lo si può scegliere tortuoso e cupo:

 

 

luminoso e dritto:

 

 

E quanti appellativi dall’essenza filosofica si possono attribuire a questo sentiero invisibile:
La via del guerriero, la via della felicità, la via dell’eremita, la via della pace.

Alla fine si riflette semplicemente sulle scelte che si fanno.
La retorica, la generalizzazione e perchè no, anche la banalità smettono di esistere nel momento che si è orientati verso sé stessi e attraverso sé stessi si riflette come uno specchio quell’idea unita al sogno, che ci condiziona, cioè: l’ideale.

 

Per questo ringrazio chi condivide un pensiero o una scheggia della propria vita e sensibilità, perché ha superato quel limite che purtroppo, oggi, rende l’essere umano: egoista, presuntuoso e intellettualmente pigro. Vizi che portano a quell’idea che ho scritto nel procedente post. Che, oggi, la chiave di volta è la mancanza. La poesia era ed è, una conseguenza, alla perenne sensazione che mi manca qualcosa, che non si sta aggiungendo ma sottraendo qualcosa alla vita.
Cosa? Dipende dagli ideali che abbiamo.

 

Mi permetto di richiamare in questa riflessione quel che la sensibilità di chi mi ha commentato, ha creato, alcuni frammenti che sono esempi di un’ideale interiore:

 

“La poesia è il dialogo interiore che da forma alle cose: quasi tangibili, e le colora."
 

“Mi ricordo che il mio papà e la mia mamma mi leggevano sempre “favole al telefono”. Ed era così bello.”

 

“Vuoi mettere, l’emozione che si prova, quando mettendo la testa sulla sua spalla, lui in un muto conversare.. ti fa capire che c’è per te..”

 

Quel che lega questi tre frammenti di pensiero è: la comunicazione. Tutte è tre sono espressione di un calcolo che da’ come risultato: Qualcosa che al di là della sua valenza di somma, di addizione, di sottrazione o divisione, è un appello verso la ricerca di una voce.

 

Sapete cosa faccio quando ho bisogno di ritrovarmi?

 


Sarà, forse, il contatto con l’elemento primitivo o la sensazione di essere nell’atto di trovare un qualcosa, nella forma, ma è lì che il silenzio diventa vivo, che il tempo si dilata e si ritrae all’unisono, che il sottofondo non registra più suoni e quasi, quasi, si sente la voce dell’anima.  

Ti piace?
4
natodallatempesta0 più di un mese fa
commento-poesia
 

Dopo tante riflessioni al limite del tormento.
Bisogna equilibrare la bilancia e mettere dei pesi anche nell’altro piatto.
Non si può dare voce solo alle paure e ai vizi, anche la luce ha bisogno di attenzioni e gentilezze.

 

La festa di Ognissanti è passata, ieri si è un pò girato, visitato le fiere. Visto gente stravagante e ammirato cose che di solito hanno altre forme:

 

Fiera – 2 Novembre 2022

 

 

S’io facessi il fornaio vorrei cuocere un pane cosi grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare. Un pane più grande del sole, dorato, profumato come le viole. Un pane cosi verrebbero a mangiarlo dall’India e dal Chilì i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini. Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia!


Gianni Rodari

 

Il momento poetico ci sta. La poesia a suo modo e con i suoi tempi arriva sempre durante il giorno, a ispirarci, a lusingarci, a regalarci un momento di elevazione spirituale che la vita quotidiana ci concede poche volte.
Poi se hai il cuore innamorato, sai le caz…..te che si dicono, quasi, ci si crede.

Sei seduto, davanti hai la donna che ti ha rubato il cuore, magari è sera, attorno tante persone che si divertono. Le prendi la mano e guardandola con lo sguardo migliore che hai, le dici:

 

Sei bella oggi.
Ti amo come il primo giorno.
Senza di te non sono che un piccolo uomo.

 

Qualcuno attento potrebbe anche notare i particolari, le attenzioni che lei indossa o si è creata: Perché no! Per ricordarci, che si fa bella non solo per lei, ma anche per noi.

 

Esistono, ancora, queste accortezza, questi gesti poetici?

 

Perché questa è la poesia, non è un componimento in rima, decantato secondo un ritmico accostamento di consonanti e vocali, ma un’impellente desiderio di dare forma ad un sentimento che vive e brucia in un determinano momento e che facilmente si spegne, dopo aver consumato l’ultimo tizzone di desiderio. Il suono è privilegiato in questa rincorsa all’amore.

 

Mia nonna mi raccontò che ai tempi, mio nonno, le dedicò una serenata. Un vera serenata, non canto lui, non aveva il dono di una voce intonata, ma si mise all’angolo della finestra con la coppola in mano e gli occhi in alto, mentre la banda, quattro orchestrali, un mandolino, una fisarmonica, un flauto e la voce solista, intonavano il brano d’amore.

 

Dedicarle: un sei bella, un ti amo, un sei l’unica, può lusingare e accendere per una notte il cuore e la passione che esso vuole e desidera. Ma serve altro, ben altro per costruire sopra la poesia, un castello di certezze, un maniero abbastanza fortificato da resistere alla più folle tentazione dell’uomo e anche della donna. La follia d’esser padrone del cuore di chi ami.
Perché sì! C’è chi pensa, che dopo il contratto stipulato con il primo bacio, la prima, come si usa dire oggi: far sesso, fottere, scopare, trombare (poesia dell’eccitazione direbbe qualcuno), volta si è padroni e si più riporre il cuore, non serve più, lei o lui oramai sono nostri.

In una coppia si dice che c’è sempre qualcuno che ama un pò di più, può esser vero, perché c’è sempre qualcuno che si tira indietro prima, che dice scusa per primo, che sorride dopo la lite per primo. Questa è la poesia, sentire di poter fare un passo indietro, di trasformare l’orgoglio in un verso di pace e perdono, di sorridere dopo aver visto la tempesta.

 

Si dice, anche, che in una coppia c’è una parte forte e una parte debole. Nella mia coppia all’apparenza è la mia compagnia la parte forte. Carattere risoluto a volte impulsivo, occhi vispi, parola spigliata, con armi appuntite sempre pronte a pungere con ironia e sarcasmo e una irremovibile concretezza che la rende tenace e perché no anche testarda.
Io, invece, riflessivo, creativo, come mi dice a volte; troppo in alto con i pensieri per vedere il mondo come è e capirlo. Agli inizi fragile mi diceva, con il tempo ha capito, che la fragile è lei e che le mie spalle sono così grandi da riuscire a sopportare, un mondo violento senza perdere mai la pazienza e la forza di rispondere con gentilezza. In un mondo dove è debolezza tutto questo.

Secondo il mondo di oggi, infatti, io sono un debole.

Osservate la società, il modello che si è creato e si sta creando e soffermatevi sull’identità di chi, oggi, abusa e sottomette ad esempio la donna.

 

Che natura ha chi afferma, alla fine se l’è cercata?

 

Non pensate che in tutto questo la poesia non gioca un ruolo importante. Gioca un ruolo determinante, nel momento che essa è sminuita, resa ombra di faccine e riassunti calligrafici.
La sintesi dell’anima, trasformata in una didascalia.

 

Ero partito con l’idea di scrivere qualcosa di felice e non triste, mi sa mi è riuscito a metà.

Ti piace?
5
natodallatempesta0 più di un mese fa

Un giorno il saggio diede al discepolo un sacco vuoto e un cesto di patate.

"Pensa a tutte le persone che hanno fatto o detto qualcosa contro di te recentemente, specialmente quelle che non riesci a perdonare. Per ciascuna, scrivi il nome su una patata e mettila nel sacco".

Il discepolo pensò ad alcune persone e rapidamente il suo sacco si riempì di patate.

"Porta con te il sacco, dovunque vai, per una settimana" disse il saggio. "Poi ne parleremo".

Inizialmente il discepolo non pensò alla cosa. Portare il sacco non era particolarmente gravoso. Ma dopo un po’, divenne sempre più un gravoso fardello. Sembrava che fosse sempre più faticoso portarlo, anche se il suo peso rimaneva invariato.

Dopo qualche giorno, il sacco cominciò a puzzare. Le patate marce emettevano un odore acre. Non era solo faticoso portarlo, era anche sgradevole.

Finalmente la settimana terminò. Il saggio domandò al discepolo: "Nessuna riflessione sulla cosa?".

"Sì Maestro" rispose il discepolo.

"Quando siamo incapaci di perdonare gli altri, portiamo sempre con noi emozioni negative, proprio come queste patate. Questa negatività diventa un fardello per noi, e dopo un po’, peggiora."

"Sì, questo è esattamente quello che accade quando si coltiva il rancore. Allora, come possiamo alleviare questo fardello?".

"Dobbiamo sforzarci di perdonare".

"Perdonare qualcuno equivale a togliere una patata dal sacco. Quante persone per cui provavi rancore sei capace di perdonare?"

"Ci ho pensato molto, Maestro" disse il discepolo.

"Mi è costata molta fatica, ma ho deciso di perdonarli tutti".

 

 

 

Ti piace?
5
natodallatempesta0 più di un mese fa

 

Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco. Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non avesse più la possibilità di fare niente altro. Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo.La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! In quanto, la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate.Non fu mai capace di volare. Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era la forma con cui Dio la faceva crescere e sviluppare. A volte, lo sforzo é esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.

Chiesi la forza…e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte. Chiesi la sapienza… e Dio mi ha dato problemi da risolvere. Chiesi la prosperità… e Dio mi ha dato cervello e muscoli per lavorare. Chiesi di poter volare… e Dio mi ha dato ostacoli da superare. Chiesi l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiutare. Chiesi favori… e Dio mi ha dato opportunità. Non ho ricevuto niente di quello che chiesi… Però ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno.

 

 

 

Ti piace?
4
natodallatempesta0 più di un mese fa
Mostro
 
 

Mi sa che devo aggiunge una nota permanente a piè di pagina per ringraziare chi mi commenta, il loro contributo rende il viaggio un’esplorazione e non un esule naufragio. Tanti spunti per riflettere, tre parole hanno colto la mia attenzione, per esser precisi, due parole e un’aforisma:

 

Egoismo, combattere e pánta rheî.

 

C’è un legame tra queste parole. Si combatte quasi sempre per egoismo e nella lotta scorre sempre qualcosa, sul terreno (reale o concettuale) alla fine si è, sempre, versato qualcosa: Un’intera esistenza, tutta una vita.

Non so il motivo conscio, ma questa riflessione mi ha riportato alla mente un’acquaforte di Francisco Goya.

 

Il sonno della ragione genera mostri.

 

 

Francisco Goya – Il sonno della ragione genera mostri.

 

 

Secondo Goya, la fantasia è alla base di tutte le creazioni dell’uomo e della donna (aggiungo). Secondo il suo pensiero, senza l’appoggio, il supporto della ragione, della logica, la fantasia condurrà la mente a generare mostri. Se, invece, la ragione si unisce alla fantasia, si da’ vita a uno strumento potente e dalla genesi inesauribile.
Che cosa rappresentano i mostri? Nel pensiero di Goya i processi mentali che tormentano l’anima degli uomini.
Ho sempre ritenuto per esperienza personale, che i mostri sono paure camuffate.
Ho paura del buio, quindi, il buio diventa un mostro, ho paura del mare, quindi il mare diventa un mostro e così via.

 

Sapete qual è il mostro più temuto dell’essere umano?

 

Il tempo.

 

Ciò che per noi è più prezioso, è anche ciò che più temiamo. La nemesi di ogni speranza e la madre di ogni paura.
Secondo voi, chi o cosa invidiamo?
Inviamo l’uomo che ha una Ferrari e la possibilità di comprare quel che vuole o l’auto sportiva e il denaro che lui possiede?
O ci mette invece paura il non riuscire a raggiungere il suo stesso obiettivo, di non avere il tempo di aver successo?
Avidità, invidia, egoismo, ira, accidia ecc. ecc. Sono biblicamente parlando, un’esternazione oscura della consapevolezza concreta o meno, che il tempo che viviamo, scorre e con esso scorrono i nostri sogni, le nostre ambizioni, i nostri desideri, che nel profondo della ragione, avvolti dall’egoismo, dall’invidia, dall’ira, diventano mostri che ci tormentano.

 

Pánta rheî: “tutto scorre” e nello scorrere tutto cambia, non cambia, però, il punto di vista, cambia la goccia che attraversa il punto, quella goccia non sarà mai la stessa e mai indietro potrà tornare.
Per questo a volte quando siamo felici, perché amiamo o balliamo, dopo, ci sentiamo, quasi, in colpa.
Come se avessimo la sensazioni di non meritarlo, ed è una difesa o di non riuscire più a ripeterlo, ed  è una resa. Una difesa o resa ai mostri che ci creiamo.

 

Ho la sensazione, che con il passare del tempo, le riflessioni diventino sempre più artificiose. E dire che volevo semplicemente passeggiare, senza pretese in punta di piedi.
Non pensavo neanche di attirare l’attenzione con i miei pensiero e di rimane solo.

Ti piace?
1
, , , , , , , , , , , , ,