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Leone

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Oggi si celebra il funerale di Papa Francesco. Un uomo, con le sue fragilità, ma portatore di un messaggio di luce, accoglienza e amore.

Il mio percorso mi ha portato a esplorare diverse culture e visioni religiose, mantenendo uno sguardo aperto, possibilista ma anche cauto. Credo in un principio superiore, senza nome, e nella connessione tra energie, anime e vibrazioni. La ricerca del bene comune è per me una missione, un valore che dà senso alla nostra esistenza.

In questi giorni, alcune dichiarazioni mi hanno lasciato un senso di amarezza. Più che un tributo al suo operato, ho percepito un tentativo di ridefinire il suo messaggio e di ricondurlo entro confini più rigidi. Eppure, il suo pontificato ha insegnato che la fede si esprime nell’abbraccio verso gli ultimi, nella comprensione, nel dialogo.

Vedo questo momento come un bivio: onorare il suo lascito o lasciarsi avvolgere da dinamiche di potere. La nube che si raccoglie sul suo feretro sembra voler oscurare ciò che ha costruito, ma io credo nella capacità dell’uomo di evolversi in un contesto di luce e amore.

L’eredità di Papa Francesco non è solo nelle parole, ma nelle persone che hanno accolto il suo messaggio e lo porteranno avanti

 

 

 

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Odio la punteggiatura per come la  percepisco. Non è in grado,  di dare  il giusto respiro alle frasi, soprattutto se, come me, si fa a pugni coi punti e virgola e con i punti esclamativi. Ma i puntini... 
Vuoi mettere quei puntini, tre al massimo, che ti danno il tempo della pausa pensata... due.. piccola; tre..con inspirazione. Le virgolette, per i pensieri d'altri tranciati, e che altro... i due punti per dar seguito alla lista di spiegazioni...
Ebbene sì: tormento e delizia, per chi come me scrive fuori dal galateo della penna, ma pone anima e cuore in ciò che scrive. Lo so, lo so, qui ci saranno fior fiore di linguisti 'non io.'
Mi lascio sedurre dal foglio e spargo inchiostro, tratteggiando pensieri in libertà. Scrivo come respiro, travolta dalle emozioni.
Eh si, alla fine aggiungo la punteggiatura a sentimento.

 

 

 

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Sono la cicatrice, cheloide che racconta..
Resilienza che avanza.  
Inchiostro vibrazionale che tinge la vita, nelle sincronizzazioni del cammino. Dove luci ed ombre s'incontrano nell'accordo di uno strumento musicale, creando sinfonie.  
Evoluzione accolta sull'onda del tempo,  
passato, presente e futuro intrecciati.  
Ciò che era è parte di ciò che sarà... sono chi è stato, frammento universale
.  

 

 

Che questa Pasqua porti luce, armonia e una nuova sinfonia di speranza nella tua vita.

 

 

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"Canto me stesso, e celebro me stesso,
E ciò che io assumo voi lo dovete assumere
Perché ogni atomo che mi appartiene appartiene anche a voi…"  (
Withman)

 

 

Trovo rifugio in ogni nota..pennellata ..parola 🤍

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"La donna che attraversa il fuoco non ritorna con le ceneri, ma con le ali."  Jung  

 

 


Che sia una cicatrice sulla pelle, nel cuore o nell’anima, portala con orgoglio. Non c’è niente di più bello di chi guarda le proprie cicatrici, non più con dolore, ma come segno di forza interiore, come un lato ombra portato alla luce. Ogni segno racconta una storia: di resilienza, di vita, di coraggio. Attraversare il fuoco non ci distrugge, ci trasforma. Ci ricorda che, dentro di noi, abbiamo già tutto ciò che serve per volare

 

 

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Oggi il vento soffia forte, e il ciliegio davanti casa sparge i suoi fiori come minuscole stelle cadenti. Li vedo volteggiare nell'aria, posarsi sul prato, sulla strada, persino sul terrazzo e sui gradini. È come camminare tra sogni di primavera.

Domani sarà diverso: quei petali perderanno il candore del loro colore e calpestati diventeranno una poltiglia informe. Non importa. Questo spettacolo è la bellezza dell'effimero, il valore di un momento irripetibile.

 

 

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Una delle cose più  belle nella vita è  trovare qualcuno che riesce a capirti, senza il bisogno di dare tante spiegazioni ( k. Gibran)

 

 

 

Anche Poirot con le sue celluline grigie ha bisogno di indizi ,senza  non è  comprensione ma congettura .

 

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Prove di scrittura

(2)

 

Mi son svegliata e tu non c'eri

 

Abbasso il telefono, il suo respiro ancora nell'aria. Mi alzo e guardo la porta. E per la prima volta, faccio un passo verso di essa.  

Ora mi chiedo perché sono qui. Qual è la mia storia? Apro la porta, chiederò a loro.  

Sento una voce in lontananza che dice: "Lara… Lara…"  

Guardo il telefono. Lo riaccosto all'orecchio. È così che mi chiamo. Lo so. Lo sento. Sta chiamando me.  

"Sei un mio parente?"  

"Non proprio."  

"Dimmi chi sei."  

"Lara… ho aspettato. Ti ho aspettato. Sono passati anni… Non so se sia giusto che io ti parli. Esci dalla camera. Chiedi della dottoressa Zeppi. Vedrai che ti aiuterà a capire. Poi, quando sarai pronta, chiamami. Certo, sono cambiate molte cose… ma se sei tornata per restare, parleremo."  

Nella mia testa sento confusione. Cosa sta succedendo? Inciampo nei miei pensieri, nelle paure che mi avvolgono come una nebbia pesante. Ma poi, un istinto primordiale—un bisogno di sapere—mi spinge verso quella porta. La apro lentamente, il cuore che batte come un tamburo impazzito.  

Un corridoio si apre davanti a me. Le pareti sono candide, quasi accecanti. C'è un silenzio innaturale, spezzato solo dal rumore dei miei passi incerti.  

Mi guardo intorno, cercando qualcuno, qualcosa, e infine vedo una donna in divisa bianca che mi guarda con un misto di sorpresa e preoccupazione.  

"Posso aiutarla?" chiede, la voce morbida ma cauta.  

Le parole mi escono a fatica: "La dottoressa Zeppi… devo vederla."  

Lei annuisce, come se capisse più di quanto io stessa sappia. Mi guida verso una porta, e ogni passo sembra portarmi più vicina a una verità che temo e desidero allo stesso tempo.  

La porta si apre, e una donna dai capelli grigi ma dall'aria gentile mi osserva da dietro un paio di occhiali sottili.  

"Lara," dice, come se conoscesse quel nome meglio di chiunque altro. "Ti stavamo aspettando."  

Le sue parole mi travolgono. La confusione nella mia mente si intensifica, ma c'è anche un barlume di speranza. Finalmente qualcuno che potrebbe avere risposte. Mi siedo di fronte a lei, le mani che tremano.  

"Chi sono?" chiedo, la mia voce spezzata da mille emozioni.  

Lei mi guarda con una calma che non riesco a comprendere. "Sei qui perché stai cercando te stessa, Lara. E io sono qui per aiutarti a ricordare."  

Alle pareti ci sono quadri dai colori vividi, che danzano nella mia testa. La dottoressa se ne accorge e sorride. Si alza e si muove nella stanza, soffermandosi su ogni dipinto e indicandomi l’autore. Poi si ferma davanti all’ultimo.

"È Il Bacio di Klimt." 

"So che non ti piace," dice con un sorriso complice. "Troppo oro… hai sempre detto che lo trovi privo di leggerezza."  

E per la prima volta da quando mi sono svegliata, sorrido. È debole, esitante, ma reale. La sua attenzione e il suo modo di leggermi dentro mi infondono una sensazione di fiducia che non avevo provato fino a quel momento.  

"Mi può dire da dove arrivo?" le chiedo, ancora incerta ma con un filo di coraggio che cresce in me.  

La dottoressa si ferma un istante, abbassando lo sguardo come per trovare le parole giuste. Poi, con tono dolce ma fermo, risponde: "Lara, il tuo percorso è complesso e non è facile parlarne in poche parole. Sei arrivata qui per tua scelta, perché sentivi di non poter più andare avanti com'eri. Ti sei spezzata, ma sei anche venuta per cercare di ricostruirti."  

Fa un gesto verso uno dei quadri colorati sulla parete, come se fosse simbolico. "La vita a volte ci porta a smarrirci per poterci ritrovare. Questo è il luogo che hai scelto per affrontare quel momento. Qui sei al sicuro, e insieme possiamo capire cosa è accaduto."  

Con un gesto tranquillo, prende una grossa agenda dalla copertina scura e me la porge.  

"Leggila," mi dice, con un’espressione di incoraggiamento. "Chi meglio di te può dirti chi sei?"  

Poi si china sotto al tavolo e ne tira fuori un’altra. Questa ha la copertina liscia e intonsa, le pagine immacolate. Sorride mentre la posa davanti a me.  "Questa è per te. Potrai iniziare a scriverla quando vorrai. Non avere fretta… non più. Leggi il tuo diario come se fosse quello di un’altra persona. Scoprirai molto più di quello che immagini."

 

 

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Prove di scrittura

(1)

Mi son svegliata e tu non c'eri.
La luce filtrava dalle persiane, incapace di riempire il vuoto che pulsava attorno. Mi sono alzata, un passo dopo l'altro, come se il pavimento fosse fatto di vetro fragile. Sul comodino, il tuo orologio non c'era. Sul tavolo della cucina, il caffè non borbottava nella moka. Ho cercato il tuo riflesso nella finestra, ma c'era solo il mio. Mi sono chiesta: dove sei? Chi sei? E poi, chi sono io per cercarti ogni giorno e perderti sempre?  

È come se ci fosse un'ombra che chiede di fare il suo ingresso nella realtà. Apro e chiudo cassetti. Questa è casa mia. Ci sono le mie cose. Davvero sono mie? Estranea, sono un'estranea. Trovo il bagno. Mi guardo allo specchio. Quella sono io? Sono vecchia? No, non mi sembra. Non sono giovane.  

Devo fare qualcosa. Le mani tremano mentre mi stringo al bordo del lavandino, come se fosse l'unica cosa che mi impedisce di cadere. Il respiro è veloce, troppo veloce, e sento il battito del cuore che rimbomba nelle orecchie. Il panico mi avvolge come una seconda pelle, stretto e soffocante, e le lacrime scendono, calde e silenziose. Non riesco a fermarle.  Guardo nello specchio. Quella donna con gli occhi rossi e il volto segnato dal dolore... Provo pena per lei. Vorrei abbracciarla, dirle che andrà tutto bene. Vorrei aiutarla. Ma poi la realtà mi colpisce con la forza di un pugno. Sono io. Sono io quella donna. E non so nemmeno da dove cominciare per salvarmi.  

Mi guardo intorno e qualcosa mi colpisce. Ho un cellulare.Tutti hanno un cellulare. Ma tutti, chi? Lo cerco. Lo trovo. Lo stringo tra le mani come se fosse una chiave per aprire un mondo che mi è precluso. Scorro la rubrica: nomi che danzano sullo schermo, lettere che si combinano in suoni vuoti. Marco. Anna. Francesca. Eppure, nessuno di loro risveglia qualcosa dentro di me. Sono estranea. A loro? Al mondo?  

Premo un numero a caso, il pollice tremante sullo schermo. Il telefono squilla. Un suono acuto, distaccato. Nessuno risponde. E dentro di me, il silenzio si fa eco. Allora premo un altro numero. Questa volta qualcuno risponde. Quella voce non mi è familiare, ma la mia speranza è che la mia lo sia.  

"Ascolta… chi sono io?"  
Il silenzio è pesante, come un muro che si frappone tra me e quella voce sconosciuta. "Ti prego, aiutami… sono in casa, ma non so chi sono."  

C'è un respiro, un suono appena percettibile dall'altra parte, e poi: "Mi dispiace, ma… chi sei tu? Non ti riconosco." Le parole arrivano come lame, tagliano il filo sottile della mia speranza. Rimango lì, ferma, incapace di dire altro. Lacrime calde scendono sul viso mentre stringo il cellulare, come se potesse darmi un senso di realtà.  

"Perché c'è il tuo numero se non mi conosci?" chiedo infine, la mia voce un sussurro rotto. Dall'altro lato c'è una pausa più lunga, pesante, diversa dalle altre. Poi, lui risponde: "Non lo so," dice, e la sua voce sembra incerta, quasi spaventata.  

Insisto: "Deve esserci una ragione. Chi sei? Chi ero io per te?"  

Un'altra pausa. Poi, con un tono freddo e fermo, ma con una nota di rassegnazione: "Non avrei mai voluto risentirti." Le sue parole colpiscono come un pugno, e il mio respiro si blocca. "Mi conosci," sussurro. Lui sospira, e finalmente confessa: "Sì. Ti conosco. Ma sono passati anni. Pensavo… pensavo che non mi avresti mai cercato. Pensavo che non avresti mai più avuto motivo di farlo."  

Lo ascolto senza fiato. Non riesco a parlare. Lui continua: "Sai," dice con un respiro profondo, "voglio che tu capisca... stai tranquilla. Chiami sempre me, ma ormai sono passati anni. Se apri la porta, ti accorgerai che quella in cui stai è una camera. Fuori troverai del personale che ti aiuterà. E non preoccuparti. Sono stato io a volere che ci fosse anche il mio numero nella tua rubrica."  Abbasso il telefono, il suo respiro ancora nell'aria. Mi alzo e guardo la porta. E per la prima volta, faccio un passo verso di essa.
Ora mi chiedo perché  sono qui.. qual 'è la mia storia. Chiederò a loro

 

 

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Cadere fa parte della vita, e ogni caduta ci offre una possibilità unica: quella di rialzarci, più forti e più consapevoli. Le paure possono essere messe a tacere affrontandole consapevolmente , gli errori diventano maestri preziosi, e persino i "no" possono aprire nuove prospettive, regalandoci la gioia dei "sì".  
Rialzarsi significa accogliere il cambiamento con grazia, trasformare il dolore in una risorsa e scoprire che la forza non sta solo nel superare gli ostacoli, ma nel saper sorridere mentre li affrontiamo.  
Mi è stato insegnato che, di fronte a un problema, ci sono sempre almeno tre soluzioni possibili. A volte sono più vicine di quanto immaginiamo. E se una soluzione non c'è… beh, forse la soluzione è accettare che non tutto deve essere risolto.  

 

 

 

“La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo. "(Jim Morrison)

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