Profilo BACHECA 1384
L’altro giorno un mio amico mi ha detto:
“Vorrei solo poter sparire.”
E lo ha detto piano, senza rabbia, senza scena.
Con la voce di chi ha finito le scuse per giustificarsi col mondo.
Gli ho chiesto: “Perché?”
E lui ha alzato appena gli occhi, come chi è stanco pure di parlare, e mi ha risposto:
“Perché non basta essere buoni.
Non basta fare tutto quello che ti hanno insegnato.
Non fare del male.
Dire grazie, chiedere scusa, tenere la porta aperta anche a chi non la tiene per te.
Non basta abbassare la testa, lavorare, farsi in quattro.
La vita non premia chi si comporta bene.
Non c’è nessuna giustizia nel dolore.
Non c’è una logica, un perché, un equilibrio.
A volte ti sbatte a terra anche se non hai fatto niente.
Anzi, proprio perché non hai fatto niente.
E lì non c’è medaglia, non c’è spiegazione, solo lividi da contare a occhi chiusi.
E allora ti viene voglia di sparire.
Perché ti accorgi che la bontà, da sola, non ti protegge da niente.”
E io, per un attimo, non ho trovato parole.
Perché c’aveva ragione.
Troppa ragione.
Perché lo so anche io che ci sono momenti in cui la vita si piega e si rompe in punti invisibili.
E non importa quanto sei bravo a sopportare, a sorridere, a far finta che vada tutto bene.
A volte, la vita ti uccide lasciandoti vivo.
Allora ci ho pensato. Ci ho pensato tanto.
E ho capito che quando ci capita un po’ di felicità, anche se piccola, anche se disordinata, anche se non somiglia a quella che sognavamo, dobbiamo trattarla come un dono raro.
Perché poi succede che un genitore si ammala.
Che il lavoro finisce.
Che le certezze si spezzano.
E tutto va storto senza che tu abbia fatto niente di male.
E la vita si inceppa.
Come se qualcuno avesse tolto la musica proprio quando avevi imparato a ballare.
E lì capisci che nessuno ti deve niente.
Che la felicità non è un diritto ma un attimo che passa e se non lo riconosci te lo perdi.
Per questo, quando arriva anche solo un istante buono, una sera in cui respiri più leggero, una voce che ti chiama nel modo giusto, una finestra che si apre e ti sembra casa, non lo devi sprecare.
Non devi andartene da lì per paura che finisca.
Resta.
Resta finché puoi.
Fino all’ultima luce.
Fino all’ultima sillaba di pace.
Alla fine non gli ho fatto nessun discorso.
Mi sono avvicinato e l’ho abbracciato forte, senza dire niente per un po’.
Poi, piano, gli ho sussurrato:
“Se un giorno sparisci, lasciami almeno un biglietto.
Che ti raggiungo.
Perché lo so che non ci si salva da soli.
E ognuno di noi, quando è al buio, ha solo bisogno di qualcuno che resti accanto senza chiedere niente.
Solo restare.
E dire:
ci sono.
Anche adesso.
Anche così.”
Andrew Faber
NON CERCARTI DOVE NON CI SEI PIÙ
A volte resti a guardare un posto,
una relazione, una vecchia versione di te
come se da lì potesse ancora arrivare qualcosa.
Ma quello che eri non abita più lì.
Ci sono luoghi che ti hanno definito,
persone che ti hanno acceso e spento,
momenti che ti hanno strappato via pezzi
che poi hai dovuto ricostruire da solo.
Eppure continui a tornarci col pensiero,
come se potessi recuperare qualcosa
che ti è scivolato tra le mani.
Se provi a trovarti lì,
troverai solo la tua ombra:
la parte che hai lasciato morire per sopravvivere.
A un certo punto bisogna smettere di rovistare tra le ceneri per sentirsi vivi.
Smettere di confondere le ferite con l’identità.
Tu non sei il dolore che hai attraversato.
Non sei nemmeno il vuoto che ti hanno lasciato.
Se vuoi ritrovarti, guardati qui:
nei passi che hai fatto per rialzarti,
nel respiro che hai protetto
quando tutto crollava,
nella pelle nuova che brucia,
nella parte che trema e non finge.
Non cercarti dove non ci sei più.
Perché lì sei già morto.
Cercati in ciò che hai lasciato andare,
in ciò che hai imparato a non inseguire più.
Perché crescere, a volte,
è smettere di tornare.
E allora sì, cercati adesso:
nel rischio che ti fa paura,
nell’incertezza che non mente,
nella vita che, anche senza rumore,
ti sta chiedendo di nascere ancora una volta.
Perché lì sei vivo.
Lì sei vero.
Lì ti stai ritrovando.